L’appuntamento era alle 21.00 in punto, a Parliament Square, sotto la statua di Churchill, ma in molti hanno iniziato a radunarsi già dal tardo pomeriggio: così venerdì 31 gennaio, una folla entusiasta, ha riempito il cuore di Londra per celebrare la Brexit.
Brexit: e festa fu
L’edificio gotico del Parlamento, lungo le rive del Tamigi, è stato trasformato con dei potenti riflettori in una gigantesca bandiera inglese, così come molti altri palazzi del centro fra i quali il Ministero della difesa, con dinanzi la statua del generale Alan Brooke. I pub del circondario erano inaccessibili, pieni sino all’orlo di brexiteer che hanno poi marciato lungo Parliament Street.
Poco lontano, davanti a Downing street, casa ufficiale del Primo ministro Boris Johnson, altri manifestanti si erano radunati; tutti bardati con l’Union Jack, mentre altri reggevano un cartello con su scritto “Riposate in pace, remainers!”. Dall’altro lato del grande viale, due europeisti isolati trasmettevano mestamente da un megafono l’”Inno alla Gioia”, dalla 9a Sinfonia di Beethoven, assunto come musica ufficiale della UE.
Presenti, coi propri stendardi, donne e uomini di ogni angolo del Paese, dal Galles sino alla Scozia: non sono mancate le delegazioni straniere, fra le quali spiccava quella dei francesi, inneggianti con un cartello alla Frexit e con la bandiera della Francia liberata dall’occupazione nazista. La folla più volte si è unita, con commozione e sentimento, in canti patriottici britannici, come “Rule, Britannia!” o la marcia di Elgar.
Sul megaschermo, all’inizio della cerimonia, è stato mostrato un video sulla storia dell’adesione del Regno Unito alla CEE e poi alla UE, nel quale si mostrava quanto tale processo d’ingresso fosse stato osteggiato dal principio, negli anni ’70, quando la stessa Inghilterra era un Paese diverso per società ed economia; nella ricostruzione storica si vedevano anche i danni, burocratici ed economici, che l’adesione causò al popolo britannico e di come già in passato fu scongiurata una veloce marcia indietro degli inglesi dal progetto del “superstato europeo”.
Gli interventi
Quando sullo schermo sono apparsi Tony Blair o i sostenitori della UE, la folla li ha coperti con fischi e urla di dissenso; applauditissimi invece i politici brexiteers, come Boris Johnson e Farage. Sono stati numerosi gli interventi di personalità dello spettacolo e di alcuni politici, fra i quali quello determinato e potente di Ann Widdecombe: nonostante l’età, le sue parole hanno infuocato la piazza, che l’ha acclamata più volte. Notevole il punto cruciale del suo discorso nel quale ha affermato che una sana dose di patriottismo non solo è qualcosa di cui non ci si deve vergognare, ma è soprattutto auspicabile e benefico a dimostrazione dell’unità di tutto un popolo nel nome della democrazia.
Farage: l’esultanza del volto della Brexit
Nigel Farage, leader del Brexit Party e autorità morale e politica di primo piano della lunga marcia degli inglesi per l’uscita dalla UE, è stato l’ultimo a raggiungere il palco, dal quale ha affermato con fierezza che la guerra era finita e che finalmente la Brexit avrà il suo corso. Interrotto più volte da applausi e grida di sostegno, Farage ha lasciato il microfono e dunque è partito il conto alla rovescia: dopo 30 secondi, in un’atmosfera simile all’attesa dell’Anno Nuovo, i rintocchi del Big Ben alle 23.00 hanno sancito la Brexit. La Gran Bretagna ha tolto gli ormeggi dal porticciolo malsano dell’Unione europea, lasciando dietro di sé una scia che sembra segnare il percorso di tanti altri popoli.
Il “Dio salvi la Regina”, inno nazionale, ha concluso la serata: il silenzio successivo potrà essere riempito dagli inni di tutti gli altri popoli d’Europa? Scaldiamoci la voce ma prima di tutto rimbocchiamoci le maniche.
(di Pietro Vinci)