Mito Minotauro

Il mito del Minotauro, metà uomo e metà toro

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Il mito del Minotauro è forse uno dei più famosi ed affascinanti della vastissima mitologia greca, eppure, lo conoscete davvero? Perché al di là del racconto dell’eroe che uccide un mostro orribile e violento c’è ovviamente molto altro. Moltissimo.

C’è così tanto che sicuramente nemmeno alla fine di quest’articolo la vostra curiosità rimarrà soddisfatta. Ciononostante speriamo che questo piccolo contributo possa aiutarvi a fare chiarezza e ad ampliare le vostre conoscenze.

Secondo la leggenda, il minotauro era figlio di Pasifae, la moglie di Menes, o Minosse, re di Creta, e di un bellissimo toro bianco inviato da Poseidone.

Il labirinto del Minotauro

Narra il mito del minotauro che Minosse supplicò Poseidone dio dei Mari, fratello di Zeus, di inviargli uno splendido toro bianco per mostrare a tutti la sua benevolenza. In cambio, Minosse lo avrebbe sacrificato in onore del dio. Una volta arrivato il toro, però, l’animale era così bello che il re minoico di Creta decise di tenerselo per sé e sacrificò un’altra bestia.

Poseidone, infuriatosi, per vendetta verso l’infedele mortale fece innamorare la regina di Creta, Pasifae, del Minotauro. L’amore era posseduta dall’amore innaturale per la bestia che non riusciva a pensare ad altro. Fece dunque costruire a Dedalo, artista di corte, una finta giovenca dentro la quale si sarebbe nascosta per farsi possedere dal toro divino. L’atto sessuale venne dunque consumato all’oscuro di tutti.

Mito Minotauro

Da quest’unione mostruosa nacque, dopo nove mesi, una bestia orrenda: il Minotauro. Il piccolo figlio di Pasifae e del toro aveva corpo umano e coda, testa e pelliccia di toro. Ma soprattutto era estremamente violento, dominato com’era dalla sua parte ferina.

Pure il Sommo Poeta Dante Alighieri pone il Minotauro nel girone dei violenti, essendo la perfetta unione fra bestia ed essere umano. Mentre l’Alighieri scende dal VI al VII girone insieme a Virgilio si imbatte nel minotauro che vedendoli freme dalla voglia d’assalirli. Il mostro è così preso dall’ira che inizia a mordere sé stesso.

Inferno, XII, vv 10-21                                               Parafrasi

cotal di quel burrato era la scesa;                         così era la discesa di quel burrone infernale;
e ’n su la punta de la rotta lacca                             e proprio all’inizio del dirupo
l’infamia di Creti era distesa                                  era distesa la vergogna di Creta,

che fu concetta ne la falsa vacca;                         che fu concepita nella finta vacca;
e quando vide noi, sé stesso morse,                       e quando (il Minotauro) ci vide, si morse
sì come quei cui l’ira dentro fiacca.                       come colui che è sopraffatto dall’ira.

Lo savio mio inver’ lui gridò: «Forse                  Il mio maestro gridò verso di lui: «Forse
tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,                     credi che qui ci sia il duca d’Atene (Teseo),
che sù nel mondo la morte ti porse?                        che nel mondo ti procurò la morte?

Pàrtiti, bestia: ché questi non vene                       Vattene via, bestia: infatti costui non viene
ammaestrato da la tua sorella,                              seguendo le istruzioni di tua sorella (Arianna),

ma vassi per veder le vostre pene».                        ma va a vedere le vostre pene».

Teseo ed il minotauro

La natura estremamente violenta di Asterione, il nome umano del Minotauro, era tale che re Minosse venne obbligato a rinchiudere il figliastro in un labirinto senza uscita. A costruire l’intricatissimo labirinto fu Dedalo, il famoso artista, che venne rinchiuso insieme al figlio Icaro.

Il mito del minotauro ci narra che la città di Atene era costretta, a causa dell’assassino del figlio – umano- di Minosse da parte dei suoi cittadinia, ad inviare ogni anno 7 ragazzi e 7 ragazze come sacrifici. Questi poveri giovani ateniesi sarebbero stati dati in pasto al minotauro.

I giovani venivano sacrificati ogni anno, fino a che non si offrì Teseo, figlio del re di Atene, a partire per uccidere la bestia e liberare la città dal tributo. Fu allora che Arianna altra figlia di Minosse e Pasifae, si innamorò del giovane eroe. Decise così di aiutarlo donandogli un filo da srotolare dall’ingresso al labirinto fino alla sua fine. Gli consegnò pure una spada con cui uccidere il minotauro.

Mito Minotauro

Il resto della storia è noto: Teseo si imbatte nel minotauro che uccide con la spada e riesce ad uscire dal labirinto grazie al filo che aveva in precedenza srotolato. La vicenda mitica continua, ma noi, per ora, ci fermeremo qua.

Il simbolismo del mito del minotauro

I significati che albergano all’interno del mito, come sempre, sono numerosissimi e spesso poco conosciuti. Cerchiamo ora di fare venire a galla un pò del “non detto” e del “sommerso” del mito del Minotauro. Innanzitutto la figura di Minosse non è la tipica figura del sovrano-tiranno della Grecia arcaica. Minosse era figlio di Zeus ed Europa, la stessa Europa che, guarda caso, venne rapita dal padre degli dèi sotto sembianze di mastodontico Toro.

I Greci stessi riconoscevano la storicità di Minosse, che alcuni storici attuali associano al faraone Menes. Il re di Creta era il prototipo del sovrano severo ma giusto, signore di Creta all’apice della potenza minoica e del dominio dell’isola sull’intero Mediterraneo centro-orientale.

Scrive su di lui lo storico Tucidide:

«Minosse, infatti, fu il più antico di quanti conosciamo per tradizione ad avere una flotta e dominare per la maggior estensione il mare ora greco, a signoreggiare sulle isole Cicladi e colonizzarne le terre dopo aver scacciato da esse i Cari ed avervi stabilito i suoi figli come signori. Eliminò per quanto poté la pirateria del mare, come è naturale, perché meglio gli giungessero i tributi
(Tucidide, Guerra del Peloponneso I, 4).

La civiltà minoica, come è ormai da tutti accettato e provato, era una civiltà molto legata al culto del toro e del sole, una civiltà solare che riporta tutti i simboli tipici dell’adorazione di questa divinità. Una divinità che, in alcuni casi, era raffigurata come un toro.

In un’antica moneta greca infatti, trovata dagli archeologi dell’Università di Padova, da una parte vediamo raffigurato il minotauro, mentre dall’altra una svastica. Ovvero il simbolo solare per eccellenza.

Labrys, labirinto e Toro

Per alcuni studiosi la figura del minotauro era sovrapponibile a quella di Minosse. Sempre per questi studiosi, il re di Cnosso era tenuto, come rex et sacerdos, a officiare i riti sacri in onore della divinità solare. Questi riti venivano praticati dal mitologico Minosse utilizzando un copricapo a forma di toro – le corne sono da sempre simbolo di regalità, sia in Asia Minore che in Medio Oriente ed in Europa.

Che sia vera o no questa interpretazione del mito, a Creta incontriamo numerosi culti legati alla figura del toro. Uno fra questi era la Taurocatapsia: il salto del toro. Il rito era estremamente pericoloso e veniva officiato da giovani minoici di fronte al popolo intero. I giovani officianti-atleti avevano come dovere quello di saltare sul toro in corsa mentre venivano caricati (vedere l’immagine all’inizio dell’articolo).

Mito Minotauro

Altri studiosi associano la figura del minotauro a quella del dio fenicio Ball-Moloch, anch’egli legato alla figura del toro. Di conseguenza credono che a Creta ci fosse un culto solare legato alla figura dela vacca/toro assimilabile all’adorazione odierna degli Indù per le vacche.

L’ultimo elemento interessante da analizzare del mito è la labrys, l’ascia bipenne cerimoniale. Questo strumento religioso, forse anche bellico, è un’arma rituale estremamente affilata trovata in gran numero negli scavi di Cnosso.

Disegni, rappresentazioni e reperti di labrys sono così comuni nel palazzo di Cnosso a Creta che gli studiosi pensano, a ragione, che da essa derivi il nome del labirinto. Il labirinto non è altri che il palazzo del re-sacerdote di Creta e, “tirando le fila” ci accorgiamo che tutti i nodi vengono al pettine.

Il mito del Minotauro adombra un culto solare legato alla figura del toro e dell’ascia bipenne, o labrys. La stessa ascia che a Roma avrebbe dato vita al fascio littorio e che presso i vichinghi e gli antichi germani si è tramutata in un martello, il martello di Thor. Quest’arma divina e solare, era intimamente legata al sole ed al cielo, che con la sua pioggia e la sua luce vivificava la terra facendo prosperare l’agricoltura.

(di Fausto Andrea Marconi)

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