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“Hammamet”: ritratto impolitico di Bettino Craxi

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Hammamet“: un racconto intimista degli ultimi anni di Bettino Craxi, durante l’auto-esilio in Tunisia. Gravemente malato, è accudito dalla figlia; quando il figlio d’un amico fa irruzione, se lo tiene caro – ed il ragazzo, a sua volta, non sa se odiarlo od ammirarlo.

 

Il pudore nel film “Hammamet

Il solo personaggio dall’identità dichiarata in “Hammamet” è proprio Craxi: la figlia Stefania è rinominata Anita (in omaggio alla mania garibaldina del padre); il figlio Bobo e la moglie appaiono ma non sono nominati; Claudia Gerini è una amante di cui si dice solo che è spesso in televisione (Sandra Milo?); Vincenzo Balzamo diventa Vincenzo Sartori.

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Inoltre: del politico che fa visita a Craxi si può fantasticare su chi sia, od almeno da che partito provenga; così come chi sia il personaggio che rilascia a Bobo un documento timbrato che scatena l’ira del padre; Ciriaco De Mita è evocato come “quel democristiano irpino”; Silvio Berlusconi appare in televisione mentre parla dei bombardamenti NATO sulla Serbia.

Perché tutto questo pudore su nomi che pure sono pubblici? Perché non è un film politico. Che sia una scelta artistica, quella di puntare sul dramma personale e famigliare? Oppure, essendo di molto mutati gli atteggiamenti riguardo Craxi (sempre meno i demonizzatori, sempre più i sovranisti che vedono in Craxi l’ultimo grande statista italiano), una questione di cautela?

 

Ottimi ritratto ed interpretazioni

Il ritratto di Craxi in “Hammamet” è tutto personale. Minimi i riferimenti politici: si cita il Partito Socialista qualche volta, timidamente la Democrazia Cristiana ed i comunisti, ma il quadro è astratto. Si accenna alla maxi-tangente: non a Tangentopoli, né a Di Pietro e Borrelli (si parla di “giudici” da incubo), non si dicono date precise (“fine del secolo scorso”). Nessun riferimento a Martelli, Amato, De Michelis, Minoli, Chiesa, Scalfari e così via.

Il punto di forza non può non essere la formidabile interpretazione di Favino. A dispetto del pesantissimo trucco, che lo rende identico al personaggio ma ne penalizza l’espressività facciale (che pure c’è, specialmente nel sorriso sardonico che fece soprannominare Craxi, parodiandone lo pseudonimo giornalistico, “Ghigno” di Tacco). È superba la sua recitazione tutta vocale e mimica: la parlata stentorea, con l’eccessivo scandire delle ultime sillabe dei periodi che agevolò paragoni mussoliniani; il piegarsi di lato, il gesticolare con tre dita. Una grande prova drammatica, fra tenerezze e scatti d’ira, confessioni di tormenti interiori e parolacce urlate.

Il film paga la solitudine di Favino, il solo attore blasonato (Renato Carpentieri e Claudia Gerini sono vittime di due personaggi tratteggiati approssimativamente dalla sceneggiatura). Gli tiene testa la dolente Livia Rossi nei panni della figlia (che passa un po’ per il suo punching-ball). Ultima prova per Omero Antonutti, morto a novembre per un tumore: qui nei panni del padre di Vittorio Craxi, che di Benedetto alias Bettino fu il padre.

 

Gianni Amelio racconta il suo Craxi

A fine gennaio 2020 (a pochi giorni dal ventesimo anniversario della morte di Craxi), il regista calabrese Gianni Amelio compirà 75 anni. Con “Hammamet” si affaccia a questa ricorrenza alzando il tono della sua carriera: è sempre stato un bravo cineasta, ma non aveva ancora fatto “il” film. Nelle interviste è stato un poco perfido («Craxi è stato vittima della sua arroganza»), ma nel film ha un atteggiamento diverso: mostra sì Craxi come vittima di se stesso (del suo titanismo, della sua voracità, della sua smania vitale), ma anche degli altri (a differenza sua, soltanto voraci). Il suo pianto, quando racconta alla figlia un incubo («Che c’è di bello nel parlar male degli altri») è comprensibile, condivisibile.

Si comprende perché il Bettino nazionale risultasse antipatico: borioso, quasi alieno dai problemi altrui, un po’ sadico. Ma se ne vede anche la statura (al di là del fatto che Favino, pur non avendo l’altezza del “Cinghialone“, ne simula bene l’imponenza fisica): la capacità di soffrire, la fierezza, l’intelligenza, l’eloquenza barocca (ed il rifiuto aprioristico di trattare l’interlocutore, chiunque fosse, come un suo pari). Quello che il film disegna è un personaggio bello, capacissimo d’essere sia cattivo che nobile.

amelio-favino

Tanta attenzione è stata data quindi ai particolari della biografia di Craxi in “Hammamet“: il legame simbiotico con la figlia, la mancanza di solidarietà col figlio, l’ossessione per le donne e l’incapacità di starci assieme, la rabbia e la malattia. Due soltanto (oltre all’esilio) i particolari politici raffigurati: il fantascientifico comizio all’Ansaldo, e la crisi di Sigonella (ricostruiti dal nipote con modellino d’aereo e soldatini: «Mio nonno comanda l’Italia. Mio nonno ha vinto»). Vaghi riferimenti al linciaggio fuori dall’hotel Raphael.

 

Pregi e difetti di “Hammamet

L’atteggiamento è un po’ cerchiobottista: sì, Craxi aveva le sue colpe, ma da qui a trattarlo da capro espiatorio ne passa di acqua sotto i ponti. Si deprecano i suoi carnefici ed i suoi traditori, ma non li si tocca: ci si accontenta di mostrare uno squallido  spettacolo del Bagaglino, per non dire che più molto della satira, a Craxi fece male certo giornalismo che pure alla sua mensa si era abbuffato.

Hammamet” (che dopo l’animazione di Pepito Produzioni, ossia un bambino che con una fionda infrange un vetro, comincia col piccolo Benedetto che fa la stessa marachella) ha i difetti di tanti piccoli film italiani: la sceneggiatura spesso debole, gli attori televisivi. Il macchinoso dialogo tra Favino/Craxi e Cederna/Sartori (assai legnoso il secondo), subito dopo la fulgida apparizione della piramide di Panseca al comizio nell’ex fabbrica Ansaldo, fa temere il peggio.

Ma il film rapidamente cresce, non lo rovinano né l’incombere da spaventapasseri di Fausto, né le battute un po’ ovvie sul piatto di spaghetti (“rimpasto”, “magna-magna”), né l’ultima scena (con lo psichiatra che dice banalità e Fausto che sino alla fine deve fare il tenebroso). Si poteva chiudere in bellezza, col sogno dell’incontro col padre in tre parti, tutte crudeli («Che hai fatto stavolta?») e tutte belle.

 

Una furbizia artistica ben riuscita

Hammamet” è deplorevole per la sua furbizia (come il Tolo Tolo di Checco Zalone uscito una settimana prima), ma lodevole per riuscita artistica. Come “Il traditore” di Bellocchio, in cui Favino era nei panni d’un altro protagonista controverso della contemporaneità italiana: ma quel film almeno (dopo tante brutture del suo regista) era limpido – offriva un ritratto di Buscetta valorizzandone il lato umano, senza per questo riabilitare un mafioso che avrà aiutato il pool antimafia, ma che resta un mafioso.

Il film di Amelio fa contenti tutti e nessuno: i detrattori di Craxi non devono scandalizzarsi per la sua riabilitazione, ma non hanno nemmeno una sua ulteriore condanna; i suoi nostalgici lo vedono ritratto come una vittima, ma senza che sia riabilitato.

(Tommaso de Brabant)

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