Sesto San Giovanni: il primo comune italiano per numero di espulsioni

I leader di questa ricca cittadina hanno festeggiato il nuovo traguardo anti-migranti con una torta al pistacchio, per celebrare quello che dicono essere il duecentesimo migrante espulso dalla loro città, come hanno scritto sul dolce in lettere verdi.

Molti degli italiani che stanno per approcciarsi alle elezioni di domenica condividono il sentimento scettico verso i migranti dei dirigenti di Sesto San Giovanni. L’Italia sta faticando per accomodare gli oltre 620.000 migranti arrivati sulle sue coste dal 2013, e le tensioni sociali sono in aumento.

L’ex primo ministro Silvio Berlusconi, la cui coalizione di centrodestra ha ottenuto la maggioranza relativa in Parlamento, ha promesso di disinnescare quella che lui chiama “una bomba sociale pronta a esplodere in Italia” deportando 600.000 persone.

La scelta che gli italiani potrebbe avere un forte eco in tutta Europa, perché il paese è il principale accesso dei migranti al continente. Sesto San Giovanni ha volontariamente offerto il suo giro di vite sui migranti come un modello.

“Sesto è un modello, un punto di riferimento per la nazione, è la dimostrazione che si può governare e fare qualcosa contro il degrado urbano”, dichiara il sindaco Roberto Di Stefano, 40 anni, membro del partito di centrodestra Forza Italia.

Il cellulare di Di Stefano vibra in continuazione per i messaggi che gli inviano i suoi cittadini, ai quali ha consegnato i suoi contatti diretti – in totale contrasto, ha detto, con i suoi predecessori di centrosinistra.

Questa città di 83.000 abitanti, vicina a Milano, una volta era chiamata la “Stalingrado d’Italia” per la sua forte tendenza comunista. Dalla Seconda guerra mondiale fino alla scorsa estate, quando Di Stefano è stato eletto, ha avuto solo sindaci di sinistra.

I nuovi leader hanno colto il sentimento degli elettori in un momento in cui la disoccupazione rimaneva alta e gli italiani si chiedevano perché si stessero spendendo soldi per supportare i migranti, quando loro stessi si sentivano vulnerabili. “Questa città era alla mercé del crimine”, dice Di Stefano. Ora “siamo il primo comune italiano per numero di espulsioni”.

Dopo essere diventato sindaco, ha dato maggiori poteri alla polizia per contrastare i reati minori, come l’accattonaggio, e li ha incaricati di essere più incisivi nel controllare i documenti delle persone sospettate di essere in Italia illegalmente. Tra le altre cose ha costretto a fermare i piani per la moschea cittadina, la più grande della regione. Attualmente sta progettando di usare una tecnologia israeliana di telecamere a circuito chiuso per monitorare la città con 62 telecamere in grado di effettuare il riconoscimento facciale.

“Stiamo facendo quello che ha fatto Giuliani a New York nel periodo di tolleranza zero“, dice Claudio d’Amico, membro della Lega Nord incaricato di gestire la sicurezza nella città. “Se qualcuno vuole trasformare l’Italia nell’Afghanistan, allora abbiamo un problema”.

“Nessun paese può detenere ed espellere 600.000 persone”, ha dichiarato Riccardo Magi, segretario generale dei Radicali, un partitino di sinistra che non ha superato la soglia del 3% per entrare in Parlamento.

I dirigenti della città riconoscono che il loro modello sarebbe difficile da attuare a livello nazionale, perché i migranti che dicono di aver lasciato Sesto San Giovanni presumibilmente sono semplicemente andati a Milano, dove i funzionari sono più accoglienti.

Ma oltre il confine di Milano, a Sesto San Giovanni, dove le acciaierie hanno chiuso i battenti, e il ronzio della manifattura ha lasciato il posto ai lavori precari del terziario, molti residenti dicono di essere cauti nei confronti dei nuovi arrivati.

“Io do benvenuto a coloro che stanno davvero fuggendo dalla guerra”, ha detto Rafaele Mazza, 66 anni, un ferroviere in pensione che stava fumando una sigaretta fuori da un bar, in un raro pomeriggio nevoso. “Ma l’intera Africa non può entrare in Europa.”

(di Federico Bezzi)