Cosa ci dice il raid USA contro l’esercito siriano

La linea giustificazionista USA, a fronte del raid odierno sulle forze fedeli a Damasco costato la vita a ben 100 patrioti, fa acqua da tutte le parti se si considera la realtà sul campo.

Per difendersi dall’aggressione turca di fine gennaio, YPG aveva chiesto all’esercito siriano di intervenire ad Afrin per difendere i confini del territorio nazionale. La controffensiva congiunta, della durata di circa sette giorni, causò la morte di circa 14 persone, tra soldati di Ankara e alleati salafiti dei Fratelli Musulmani.

La verità è che, attualmente, in Siria, è in corso un “esodo etnico” sotto la supervisione di Teheran. Vengono siglati accordi d’evacuazione, con addensamento di sciiti verso la costa attorno al Libano a danno dei sunniti, relegati nelle zone a nord vicine alla Turchia. Questo spostamento di massa riguarda, anche, Deir el-Zor e le zone ad est dell’Eufrate. Permettere, lì, un’influenza russo-sciita, oltre ad essere d’intralcio ai piani occidentali di un Kurdistan abusivo e satellite, garantirebbe all’Iran il mantenimento dell’influenza in Medio Oriente, potenziatasi con le esercitazioni congiunte con la Cina nei pressi dello Stretto di Hormuz in funzione anti saudita.

Come accaduto il 20 agosto 2017, quando cacciabombardieri a stelle e strisce e israeliani effettuarono un raid per evitare che le forze fedeli a Bashar al-Assad tagliassero in due la sacca dell’ISIS tra le province di Hama ed Homs – passo fondamentale per procedere senza intoppi verso est e congiungersi con l’esercito iracheno ed il Generale, Issam Zahreddine – l’attacco imperialista di Washington, palesemente in violazione del diritto internazionale, ha l’obiettivo di tagliare quella linea di continuità territoriale iraniana che da Damasco, passando per Baghdad, arriva fino a Beirut.

(di Davide Pellegrino)