Perché i diritti sociali sono più importanti di quelli civili

Gli ultimi anni ci hanno abituato a credere, complice il martellamento mediatico, che la nuova frontiera dell’umanità siano, senza ombra di dubbio, i diritti civili. Se eccepire dal vangelo liberale è un’impresa ardua, è bene ricordare come i diritti civili non solo vengano dopo i diritti sociali, ma di come siano addirittura inferiori ad essi.

In questi tempi un’affermazione di questo genere suona come un’eresia, ma analizzando la portata e i risvolti della questione, le cose stanno diversamente da come la vulgata modernista vuole far credere. Mentre i diritti civili si configurano come diritti privati, e quindi vantaggiosi per la loro stessa natura solo per una parte della società, i diritti sociali sono invece universalmente applicabili e fruibili. La foga di accampare sempre maggiori richieste, oggi, ha portato la società Occidentale a considerare come necessari tutta una serie di desideri di parte e spesso lesivi di diritti inalienabili altrui.

L’attuale sistema ama drogare gli individui di possibilità sempre più ampie, ma non costitutive di una società che tenda al benessere e all’accrescimento dei suoi cittadini. Un diritto ha senso e merita di essere normato solo qualora ne possa trarre beneficio un’intera comunità che si riconosca all’interno di uno stesso sistema, diversamente valgono i diritti universali di pensiero e di parola, che non devono però diventare imposizioni delle minoranze sul comune sentire di una società. Senza moderazione, la libertà degenera in licentia, intesa come mero arbitrio dissoluto.

È solo ripartendo dai diritti inalienabili ad un’esistenza dignitosa, ad un lavoro, ad un’istruzione di qualità, ad una casa che sia decorosa ed alle adeguate cure sanitarie che si può costruire un mondo basato sulla tolleranza e sul reciproco rispetto, sulla cooperazione e sul vivere civile. Non sarà di certo imponendo questa o quella aspirazione di pochi, a colpi di eterodirette maggioranze parlamentari, che si potrà ottenere un mondo in cui l’individuo sia sempre meno homini lupus e sempre più homini deus, mettendo nero su bianco le richieste che provengono dai professionisti del dissenso organizzato, rappresentanti di categorie sociali ristrette ed autoreferenziali.

Ci troviamo ad avere il diritto alla maternità surrogata, ma abbiamo ancora gli asili nido che hanno costi spesso proibitivi. Abbiamo il diritto alle unioni civili, ma è fin troppo evidente per chiunque che oggi sposarsi e mettere su famiglia, più che una questione di scartoffie, firme e sigilli è un problema economico, complice la congiuntura sfavorevole e la mancanza di lavoro sicuro. Abbiamo il diritto per i musulmani di non avere il maiale nel menù della mensa scolastica, ma le scuole cadono a pezzi e la qualità dell’istruzione è sempre più scadente, complici i tagli che come una scure si abbattono sulla scuola da oramai diversi lustri.

Ancora, abbiamo il diritto ad erigere luoghi di culto per ogni confessione, mentre la modernità sta facendo dimenticare anche le più elementari regole morali, di convivenza e di comunitarismo. Abbiamo il diritto, aberrante, di fare e comprare, letteralmente, i figli, ma solo per i ricchi (prima che omosessuali!), mentre milioni di coppie rinunciano a mettere al mondo dei figli oppure lo fanno barcamenandosi tra mille difficoltà.

E il fulcro della questione sta proprio qui: hanno senso dei diritti, addirittura contrari alla nostra natura, alla stessa biologia, che sono appannaggio di pochi, di una ristretta cerchia di persone pronte a soddisfare qualunque cupidigia con il denaro? Hanno senso se vanno a scapito di un ordinamento che metta la società intera nella condizione di progredire, realmente, verso un fine ultimo superiore e vantaggioso per tutti?

Non è costruendo l’homo liberalis, individuo egoista e interessato al raggiungimento di scopi particolari, che si potrà avere una società migliore. La strada maestra deve rimanere quella del bene comune, di quelle finalità che mettano chiunque nella piena condizione di realizzarsi e di trovare il proprio posto nella società. Solo così si possono ottenere cittadini il più possibile gratificati, e quindi tolleranti e rispettosi, in quanto non intenti alla ricerca di soddisfacimento di piccole questioni e consapevoli di quali siano le reali priorità del vivere comune. Assurgere i diritti civili a nuova religione laica, ovviamente a scapito di quelli sociali, equivale a costruire una casa con dei bei muri e un buon tetto, ma senza fondamenta.

La vera libertà, infatti, si configura nella limitazione della stessa, e non nel suo replicarsi infinito. Portare all’estremo questo paradosso, in cui è possibile reclamare ogni velleità, eccetto quello che è realmente importante e che ci costituisce come gli “animali politici” di aristotelica memoria, avrà come unica conseguenza quella di portare l’Occidente verso il baratro.

(di Giuseppe Lupo)