Bonino come Gassman: quando i razzisti si travestono da dirittoumanisti

Stati Uniti d’America, XIX secolo: il dibattito tra schiavisti e abolizionisti infiamma la politica del Paese. Sono in molti a temere che l’abolizione della schiavitù potrebbe causere gravi danni economici.

J.H. Hummond (Partito Democratico), in un celebre discorso al Senato tenuto nel 1858, sostiene che «in tutti i sistemi sociali deve esserci una classe che svolga le mansioni servili, che esegua i lavori ingrati della vita» per poter sostenere il progresso dello Stato.

Ancora Stati Uniti d’America, ancora XIX secolo: E.N. Elliott raccoglie in un libro i più importanti argomenti contro l’abolizionismo. Tra questi ne spicca uno secondo cui «il primo, ed immediato, effetto [dell’abolizione della schiavitù] sarebbe quello di mettere fine alla coltivazione dei nostri grandi terreni del Sud. […] Può qualcuno sano di mente pensare ad un simile scenario senza provare terrore?»

Italia, 2018: parlando del fenomeno dell’immigrazione, Emma Bonino afferma che «se non ci fossero immigrati nessuno raccoglierebbe i pomodori, le olive». Una posizione che riecheggia quella di Alessandro Gassman, il quale pochi mesi prima, su Twitter, aveva risposto provocatoriamente a un altro utente, rivolgendogli la seguente domanda: «Te piacciono i pomodori? Le verdure? Le fragole? Senza di loro scordateli».

Se n’era già parlato, ma a quanto pare repetita iuvant: il vero volto dei dirittoumanisti, di quanti predicano accoglienza, integrazione e antirazzimo è, paradossalmente, lo stesso di quanti, nei tempi andati, si spendevano a favore della causa schiavista. Quello di chiamare con belle parole posizioni abominevoli è del resto un trucco a cui siamo ormai abituati e che riecheggia la neolingua e il bispensiero di orwelliana memoria. D’altronde, se «la guerra è pace, l’ignoranza è forza, la libertà è schiavitù», perché non aggiungere «lo sfruttamento è accoglienza»?

Chi ha letto Marx ricorderà sicuramente le sue parole a proposito dell’esercito industriale di riserva. Come ci siamo già chiesti, accogliere indiscriminatamente enormi masse di disperati è davvero un “atto di civiltà” o è solo un modo per importare manodopera a basso costo, favorire l’abbassamento dei salari e ridimensionare – in senso restrittivo – i diritti dei lavoratori?

Non si tratta del mantra secondo cui “gli stranieri ci rubano il lavoro”; è anzi opportuno riconoscere che questa situazione non danneggia solamente gli italiani e, più in generale, gli autoctoni europei, ma anche gli stessi immigrati, costretti a rischiare la vita nella convinzione di raggiungere l’Eden per poi trovarsi a lottare per un lavoro in nero e sottopagato.

Com’è evidente, dunque, l’immigrazionismo non è altro che il volto presentabile del colonialismo, che ancora oggi continua a sfruttare i paesi del Terzo mondo, solo che in una nuova, più subdola, forma.

(di Camilla Di Paola)