The Economist: perché l’economia britannica è cresciuta dopo la Brexit

I prezzi delle case sono stabili, la disoccupazione è calata, si è evitata la recessione. Non era previsto.
Era stato previsto il caos. A seguito del voto dei cittadini britannici di lasciare l’Unione Europea, la maggior parte degli economisti ha previsto una imminente recessione. Uno studio governativo pubblicato subito dopo il referendum prevedeva un crollo dei valori degli immobili pari a un quinto del loro valore, e una crescita della disoccupazione di 800.000 unità. Ma non c’è stata alcuna recessione.

E’ vero che l’Inghilterra è calata nella classifica internazionale della crescita del PIL in seguito al voto sulla Brexit, ma la crescita nel 2016 e 2017 si è comunque attestata attorno al 2%, più o meno simile al 2015. Oltretutto i prezzi degli immobili sono stabili e la disoccupazione è calata al 4.3%, il valore più basso da 42 anni a questa parte. Il disastro non è avvenuto. Cos’è andato per il verso giusto?

Il concetto alla base delle previsioni negative era quello di “incertezza”. Nessuno aveva la più pallida idea di come sarebbero state le relazioni UK-UE a seguito del referendum. Gli economisti temevano che la tanto temuta incertezza avrebbe spinto le famiglie a frenare le spese, e le imprese a sospendere i piani di investimento. Col senno del poi, questo timore appare piuttosto stupido. I sostenitori del “leave” hanno avuto quello che volevano, perché avrebbero dovuto spendere di meno?

E per i sostenitori del “remain”, la Brexit è ancora lontana: lo status del paese all’interno della UE, fino al 2020, è una preoccupazione ancora prematura per il britannico medio. Nel frattempo, la Gran Bretagna resta un paese attraente per gli investitori stranieri, in parte grazie al suo sistema legale e alle basse tasse sulle industrie.

Anche l’economia globale ha dato una mano. Il voto della Brexit ha coinciso con la prima crescita dell’economia mondiale dopo anni. I volumi del mercato globale sono cresciuti bene, nonostante la retorica spaventosa di Donald Trump. Numerose industrie da Seattle a Shangai sono tornate sui propri passi e stanno tornando a investire. L’Inghilterra, un’economia fortemente dipendente dal mercato internazionale, è stata trascinata come tutte le altre.

E gli esportatori del paese hanno ricevuto una spinta extra dal deprezzamento della sterlina, che oggi vale il 10% in meno rispetto al periodo pre-Brexit. Nell’ultimo anno le esportazioni in termini reali sono aumentate di un decimo, anche se il deficit commerciale britannico rimane in linea con la media della crisi post-finanziaria.

La domanda è se questa performance inaspettatamente buona possa continuare. Mentre si avvicina la partenza della Gran Bretagna dall’UE nel marzo 2019, le imprese potrebbero iniziare a diventare più nervose, soprattutto se temono che non sarà raggiunto un accordo con l’UE.

Se la spesa per investimenti verrà ridotta, allora i consumatori finiranno per sentire il colpo. E la stessa Brexit, che probabilmente lascerà la Gran Bretagna con un accesso ridotto verso il suo più grande mercato di esportazione, avrà conseguenze economiche a lungo termine profondamente negative. Per ora, tuttavia, l’economia britannica continua a navigare beatamente verso l’ignoto.

(da The Economist – traduzione di Federico Bezzi)

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