Il genocidio dei boeri

Film e documentari sono soliti ritrarre i bianchi come sfruttatori e sterminatori, i carnefici responsabili delle peggiori disgrazie della storia. Oltre alla propaganda liberal di Hollywood esiste una storia drammatica di cui si parla poco: quella dei boeri sudafricani.

Scriveva Alberto Costanzo: «Da molto tempo Genocide Watch segue la vicenda del genocidio boero, e recentemente ne ha elevato il grado di criticità a 6 in una scala di sviluppo che va da 1 a 8. Fase 6 significa: “Le vittime vengono identificate e separate […] Sono redatte liste di morte. Le vittime sono costrette a indossare simboli di identificazione. La loro proprietà sono espropriate. Sono spesso segregati in ghetti, deportati in campi di concentramento, o confinati…”. È agghiacciante, ma di questo stiamo parlando: in Sudafrica esiste ormai una pianificazione, una burocrazia dello sterminio dei bianchi boeri. C’è una macchina organizzativa che lavora a questo fine: non si tratta di tante violenze singole, ma di una sistematicità dell’uso della violenza (nelle sue molte manifestazioni: gli omicidi ne sono una) con un obiettivo voluto e programmato».

Nel più completo silenzio dei media, ed in modo analogo al destino che tocca i palestinesi nella striscia di Gaza, migliaia di innocenti vengono massacrati da assassini impuniti: uomini, donne e bambini vengono uccisi e violentati in modo barbaro. In una scioccante clip del dottor Gregory H. Stanton, presidente di Genocide Watch, si evidenzia come il tasso di omicidi di agricoltori boeri è ben 4 volte superiore al resto della popolazione. Il dottor Stanton dice: «Il motivo è l’odio. Sono crimini dettati dall’odio. Le persone vengono torturate ed uccise in modo disumano». Neels Moolman, criminologo dell’Università di Sovenga, ha evidenziato la premeditazione dei delitti, accanto all’assenza di repressione da parte della polizia.

Qualche anno fa, il premier Thabo Mbeki, a capo del governo monocolore dell’African National Congress, ha varato un pacchetto di leggi per il “Potenziamento economico dei neri” (Bee laws): nella sostanza, rimuovono il diritto inviolabile alla proprietà privata, cancellano ogni toponimo Afrikaaner, chiudono i centri culturali, scolastici, radiofonici boeri, completando la rimozione di ogni segno di matrice europea. Sulla china del genocidio si arriva però con il programma di ridistribuzione della terra, che consente a qualunque nero accampi un diritto su un podere Afrikaaner, per quanto datato o velleitario, di appropriarsene tout court. Viene spontaneo chiedersi cosa potrebbe accadere se i tribunali non acconsentissero a questi furti della terra o quando gli imprenditori agricoli rifiutano le società con azionisti neri, imposte dalla Bee.

I primi a rimetterci dall’estinzione dei boeri sono giusto i neri. Il Sudafrica era il granaio del continente, grazie all’export sottocosto delle fattorie bianche. Molte delle 24 nazioni che ora soffrono la fame nella fascia subsahariana lo devono al crollo della produzione boera, che dava cibo a 130 milioni di africani. E persino in alcune zone del Sudafrica è comparso lo spettro della fame.

Nell’agosto del 2001 la polizia sudafricana dava notizia che un totale di 174.220 persone sono morte di morte violenta, per violenze relative alla criminalità [o all’odio contro i bianchi, e in particolare contro i boeri] negli anni successivi alla caduta del governo dell‘apartheid, tra il 1994 e l’anno 2000.

Quello del post-apartheid viene alzato agli occhi della narrazione mediatica come un governo esemplare che è riuscito a liberarsi dello spettro del razzismo e dell‘oppressione. La verità è ben diversa: gli europei arrivati nel XVI secolo hanno reso fertili terre incolte ed hanno abitato terre disabitate. Hanno costruito città e strade ed hanno accolto gli africani dal resto del continente quando questi hanno iniziato ad insediarsi nelle loro comunità. Per i boeri, gli africani non erano persone da opprimere, come invece era nella concezione dell’imperialismo inglese ai danni dei nativi o in quella sionista ai danni dei palestinesi, ma erano persone da tutelare e proteggere. Da quando il governo dei bianchi è caduto, la povertà è aumentata, il tasso di mortalità si è alzato, la tubercolosi, la fame e l’AIDS falciano la popolazione. È arrivato il momento di affrontare il problema in modo serio, approfondendo la storia e le delicate tematiche socio-politiche di questo contesto.

Di genocidi nella storia ce ne sono stati fin troppi, gli stessi boeri, accusati dalla propaganda di ogni disgrazia nel contesto sudafricano, hanno dovuto già subire un altro genocidio per mano degli inglesi. Coloro che stanno subendo l’attuale genocidio molto spesso non sono nemmeno vissuti nel periodo dell’apartheid, chi giustifica simili episodi di violenza molto spesso dimentica che non furono nemmeno i boeri a volere quel sistema di governo, figlio dello spaventoso aumento demografico dei neri. Come scriveva Vusile Tshabalala, un giornalista nero:

«All’inizio del 1900, il numero di neri sudafricani risultava essere di 3,5 milioni secondo il censimento del governo coloniale britannico. Nel 1954, la nostra popolazione africana era salita a 8,5 milioni – e nel 1990, eravamo saliti a ben 35 milioni – tutti gestiti con attenzione, estremamente sorvegliati, contati, sballottati nelle homeland [Stati separati, indipendenti. Ndr] e nelle township – e noi tutti eravamo irritati e ci lamentavamo del giogo oppressivo del sistema dell’Afrikaner Broederbond fondato sulla rigida segregazione razziale. Durante l’apartheid la nostra popolazione è cresciuta ad un ritmo sostenuto, beneficiando delle conoscenze mediche dei boeri e delle loro eccellenti doti in campo agricolo.

La crescita della nostra popolazione e l’innalzamento della media della nostra aspettativa di vita, di fatto mostrano come noi africani in Sudafrica fossimo più in salute rispetto agli altri africani del resto del continente: nei decenni precedenti la politica ufficiale dell’apartheid (che fu avviata nel 1948), l’aspettativa media di vita per gli africani sudafricani era di soli 38 anni. Ebbene, durante l’ultimo decennio dell’era dell’apartheid, la media della nostra aspettativa di vita era salita a 64 anni – al pari dell’aspettativa media di vita europea. Inoltre, i nostri tassi di mortalità infantile si erano ridotti da 174 a 55 su mille, più alto di quello dell’Europa, ma considerevolmente più basso del resto del continente africano. E la popolazione africana in Sudafrica era, da allora, aumentata del 50%.»

Vusile Tshabalala denuncia come i vertici dell’ANC stiano letteralmente distruggendo la sanità sudafricana, facendo nomi e cognomi:

«[…] è stata data notizia dal The Star che gli ospedali sudafricani stanno diventando luoghi dove si muore – invece di guarire. […] i nostri cimiteri si stanno riempiendo così rapidamente che si sta valutando di tumulare i corpi in verticale, al fine di risparmiare spazio. Ancora, per questi nostri funerali non si parla mai di AIDS, e il silenzio e le dichiarazioni pubbliche del premieri Mbeki che contravvengono le realtà scientifiche, continuano senza contraddittorio mentre la nostra gente sta morendo.

Jack Bloom, portavoce della Democratic Alliance, lo scorso anno ha avvertito che l’aumento del 20% dei decessi relativamente agli ultimi quattro anni dei pazienti trattati all’Ospedale di Johannesburg può solo essere imputato all’alto tasso di criminalità e al grave declino nella cura del paziente. Perché le cure sono così scarse adesso, e la criminalità così alta? La risposta è semplice: i nostri fondi pubblici sono stati saccheggiati dalla gerarchia della ANC. E la polizia sembra incapace di fermare tutto questo.»

Sul saccheggio dei fondi per la sanità e la corruzione imperante il quadro è drammatico:

«Il 10 luglio 2001, il dipartimento sudafricano per la salute ha annunciato che stava per bloccare un finanziamento annuale da 6,6 milioni di Rand alla SA National Tuberculosis Association [SANTA, l’Associazione Nazionale Sudafricana Tubercolosi, ndr] a causa del continuo saccheggio di tali fondi e per i sontuosi stili di vita dei suoi dirigenti (africani), che si premiavano con stipendi annuali di 400.000 Rand e spendevano 5.000 Rand al mese soltanto in chiamate cellulari […] mentre milioni di sudafricani affetti da tubercolosi non vengono curati e deperiscono a casa di questa malattia, che è mortale ma anche curabile.

Durante l’apartheid, si ricorda come i dirigenti della SANTA apparissero estremamente frugali con i finanziamenti del governo – e molte migliaia di pazienti (sia bianchi che neri) erano curati annualmente, e come molti dottori e infermieri prestassero il loro servizio volontariamente e gratuitamente. La domanda è questa: “perché queste persone sono ancora nel consiglio d’amministrazione della SANTA? Perché non sono stati fucilati sul posto?”».

Il più grande ospedale dell’emisfero sud fu costruito nella township nera di Soweto, fuori Johannesburg, specificatamente per la popolazione nera. I neri sudafricani che all’inizio del secolo erano meno di 3 milioni hanno potuto beneficiare delle conoscenze dei boeri per poter attuare un enorme aumento demografico, la richiesta di manodopera nelle miniere del Transvaal ha contribuito a favorirne l’immigrazione aumentandone la popolazione al punto da causare politico di controllo della popolazione che avrebbero poi deprecabilmente preso forma nell’apartheid.

(di Alex Mel)