Artisti e lancio del messaggio

Perché l’ossessione dei VIP di “lanciare un messaggio” in TV è ridicola

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C’era una volta l’arte. E l’arte parlava da sé. Senza troppe spiegazioni, senza troppe chiacchiere, l’opera d’arte era il messaggio: un messaggio quasi mai esplicito, spesso volte oscuro, rimesso alla sensibilità di chi osservava, ascoltava, leggeva. E poi c’era l’artista, fonte del messaggio. Parlava attraverso le proprie opere e il messaggio, in qualche modo, attraversando i secoli, arrivava a destinazione.

Gli artisti e il “lancio del messaggio”

Oggi che tutti sono artisti e ogni deiezione d’artista deve essere considerata opera d’arte, ha preso piede una strana e fastidiosa pratica, destinata, probabilmente, a diventare presto sport olimpico: al troppo machista pugilato – che dal 2028 non sarà più disciplina a cinque cerchi – presto si sostituirà, verosimilmente, il lancio del messaggio, disciplina in cui una moltitudine di sedicenti artisti è già trionfatrice assoluta.

Il Festival di Sanremo appena terminato ha offerto svariati esempi di questa strana perversione: Emma Marrone, cantante, ha bisogno di rievocare maldestramente “il gesto femminista” perché la sua musica, la sua arte, non sono sufficienti. Parimenti, Lorena Cesarini, autoproclamatasi attrice, ha sentito la necessità di lanciarsi in un patetico monologo sul razzismo – malriuscito per parere unanime della critica – per dare un senso alla propria presenza su quel palco. E che dire di Drusilla Foer, acclamata in ogni dove?

Un uomo en travesti, un performer, un potenziale messaggio vivente: eppure, anche lui ha sentito la necessità di propinarci il – furbo e edulcorato – discorsetto in favore della (presunta) minoranza di riferimento.

L’occasione per la propaganda a qualsiasi costo

Così, l’arte cessa di essere scopo e fine ultimo e diviene orpello, pretesto: salgo sul palco di Sanremo per cantare una canzone, ma la canzone è solo l’occasione per propagandare il femminismo un tanto al chilo della marca di assorbenti che pubblicizzo.

Persino io, l’artista, non ho ragione di esistere se non brandisco, a mo’ di giavellotto, un messaggio.

Accade, probabilmente, perché questa accolita di mediocri tutti scopiazzature – pardòn, citazioni – ed autotune altro non sono che ingranaggi di un meccanismo che di loro dispone in funzione delle proprie necessità: esistono solo in quanto latori del messaggio da propagandare all’occorrenza.

Che si tratti dell’antifascismo, della lotta al razzismo, della battaglia contro le discriminazioni LGBT o della parità di genere – tutti ridicoli feticci progressisti – al fischio del padrone, costoro, allineati e coperti, rispondono presente.

La stampa fa il resto, dando immotivata eco a ridicole sparate al limite del grottesco e oltre, e rilanciandole – udite udite! -come arte.

E qui si chiude il cerchio.

La propaganda, con un’operazione al limite della truffa, viene spacciata per arte e tutti a celebrare il mediocre servo del sistema. Succede ogni giorno, in modo così pervasivo da essere diventato impercettibile.

E il livello è così basso che, alla fine, persino Sabrina Ferilli appare come un faro nella notte: ‘Ma perché la presenza mia stasera dev’essere per forza associata a un problema?’. Cioè perché devo dare un senso oltre a quello che sono. Io sto qui per il mio lavoro, per le mie amicizie, per le mie scelte”.

E i messaggeri muti.

(di Dalila di Dio)

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