Cessione quote ENI: la folle tendenza a privatizzare di uno Stato incapace

È di questi giorni l’indiscrezione, riportata dal Sole 24 ore, che vedrebbe il governo intenzionato, per recuperare fondi, a cedere le quote ENI in possesso del Ministero dell’Economia e delle Finanze alla Cassa depositi e prestiti.

La manovra permetterebbe allo Stato di avere la liquidità prevista (2,5/3 miliardi con la cessione anche delle quote ENAV) per far quadrare i conti della legge di bilancio. Pur non trattandosi di una vera e propria privatizzazione, l’operazione resterebbe comunque formalmente legittima agli occhi dell’UE in quanto CdP non è elencata nel novero della P.A., pur essendo per l’83% a partecipazione statale e avendo dirigenti su cui il Ministero ha potere di nomina, il che la rende sostanzialmente pubblica. Si tratterebbe quindi di un “trucco” per far somigliare a una privatizzazione ciò che in sostanza non lo è.

Il problema che viene alla luce però è un altro. Per quanto tempo si potrà far leva sulla cessione dei gioielli di Stato per far quadrare i bilanci? Se oggi il pericolo “svendita ai privati” per le quote ENI sembra scongiurato, l’insana abitudine di racimolare fondi con la cessione dei patrimoni pubblici appare preoccupante.

D’altronde, anche Repubblica evidenzia in un suo articolo, posto ironicamente in risalto da Claudio Borghi, come la tendenza alle privatizzazioni sia stata un vero e proprio disastro economico per il Paese, costandoci un mancato apporto di ben 40 miliardi.

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La misura ideata da Padoan &co, dunque, palesa un sottaciuto vizio, che è quello della tendenza a scaricare subito i beni nazionali quando lo Stato non riesce, per palese incapacità, a gestirli. Non sarebbe forse meglio, anziché sventolare bandiera bianca con le privatizzazioni ogni volta che servono fondi, provare a renderne efficiente la gestione statale?

(di Simone De Rosa)