Basi USA in Italia: storia di una sottomissione palese

Da Paese uscito sconfitto dal secondo conflitto mondiale, e con una importanza geopolitica rilevante, all’Italia è stata imposta una presenza massiccia di basi militari su tutto il territorio nazionale. Con l’adesione al patto atlantico di difesa miliare NATO del 4 aprile 1949, l’Italia entra e si posiziona ufficialmente all’interno del blocco occidentale contrapposto a quello sovietico e del patto di Varsavia, diventando un’importante base logistico-militare per le truppe alleate, sopratutto per quelle americane.

Basti pensare che dal dopoguerra in poi, la presenza militare americana ha garantito a Washington un controllo capillare nel Mediterraneo, che doveva essere difeso, a detta del Pentagono, dalla minaccia sovietica. Gli americani hanno depositato un cospicuo numero di testate nucleari in Italia, che tutt’oggi rimangono attive.

Ma è soprattutto negli ultimi trent’anni che queste basi, marine, aeree e di terra si sono rivelate di grande importanza: ad esempio per le operazioni di intervento militare contro la Serbia nel conflitto Jugoslavo, nelle missione di peace keeping nelle neonate repubbliche in quell’area o in Libia e per il rifornimento logistico navale nei due conflitti in Iraq.

La presenza USA nel nostro Paese non si è mai alleggerita, neanche dopo la fine della guerra fredda e  il crollo dell’Unione Sovietica. È anzi rimasta ben presente per tre importanti motivi: per supporto logistico alle guerre di “esportazione di democrazia” nel Mediterraneo e nel golfo, per mantenere una pesante “occupazione” militare in Europa e infine per proseguire nell’ottica di una politica di accerchiamento della Russia.

Le basi americane sono disseminate dal Friuli alla Sicilia, e il rapporto del governo italiano con la loro presenza è sempre stato di totale sottomissione. Prendiamo ad esempio la base di Vicenza, Camp Ederle: già caserma dell’esercito italiano , ospitò i primi militari americani già nel 1955, in dislocamento dall’Austria, acquistando nel tempo sempre più importanza e implementando la presenza di truppe fino ad arrivare alle 12000 unità odierne, 2000 in più del periodo della guerra fredda.

L’impatto con la comunità veneta della presenza dei 12000 militari americani a Vicenza non è dei migliori. Dal 2015 al 2016 ci sono stati 113 casi di crimine commessi da militari statunitensi; da stupri e tentate violenze sessuali a risse ed aggressioni. Il fatto eclatante però sta nell’atteggiamento delle autorità italiane verso i crimini: in 93 casi l’Italia ha rinunciato alla giurisdizione e lasciato che gli imputati, in base all’articolo 7 della convenzione di Londra del 1951, venissero giudicati nel loro Paese di provenienza.

Il criterio di tale atteggiamento appare ancora più sconvolgente in quanto la rinuncia viene fatta per un semplice ” convivenza politica“, secondo quanto dice il procuratore capo di Vicenza. Come per il caso del Cermis, dove un aereo da guerra americano tranciò i cavi di una funivia causando la morte di 20 persone, questi militari nella stragrande maggioranza del casi, lasciati alla giustizia americana non pagano per i crimini commessi .

Appare palese dunque che questo fantomatico criterio della ” convivenza politica” altro non sia che una sottomissione ad un’occupazione militare che si nasconde dietro i trattati della NATO e della sbandierata “amicizia” tra Europa e Stati Uniti. In un rapporto machiavellico di politica tra i due Paesi, questi favori italiani a vantaggio di cittadini statunitensi, dovrebbero essere ricompensati con gesti che vanno nell’interesse nazionale dell’Italia, invece è evidente che a guadagnarci è sempre e comunque il gigante nord Americano contro l’Italietta .

Ovviamente oltre a quelli militari esistono poi degli interessi economici dietro questi atteggiamenti di sottomissione. L’Italia deve seguire delle precise indicazioni che passano da Bruxelles e Washington, e gli interessi di alcune aziende italiane in nord America non mancano.
Molto realistiche dunque, in tal senso, le parole del presidente russo Vladimir Putin, quando parla di rapporti tra USA e alleati come di Stati vassalli che vivono nell’ottica centralista e attendono istruzioni dall’Impero.

(di Simone Nasazzi)