Brasile, esplode la protesta popolare

Il gigante brasiliano è alle prese con le più feroci proteste popolari degli ultimi vent’anni. In appena un anno di mandato le politiche neoliberiste che hanno interessato la spesa pubblica, la riforma del lavoro e quella del sistema pensionistico hanno azzerato le conquiste dei quasi quattro mandati consecutivi del Partito dei Lavoratori.

A gettare ancora più ombra sulle modifiche imposte da Temer e dal suo partito, il Partito del Movimento Democratico Brasiliano (Pmdb), è la consapevolezza che le accuse mosse all’ex presidentessa Dilma Rousseff per procedere con l’impeachment che l’ha privata definitivamente della carica istituzionale lo scorso 31 agosto riguardano anche la maggior parte dei deputati e senatori artefici del regime change.

L’inchiesta Lava Jato portata avanti dal giudice Sergio Moro vede implicati tutti i maggiori partiti brasiliani, da quello di Lula al Partito della Social Democrazia Brasiliano (Psdb) dell’avversario Aecio Neves, decaduto dalla carica di parlamentare dopo le ultime prove schiaccianti inerenti a richieste di pagamenti avanzate al colosso multinazionale della carne Jbs.

Con la Rousseff fuori gioco e Lula, intenzionato a riproporsi come candidato alle presidenziali che dovrebbero tenersi nel 2018, invischiato nella maxi operazione della magistratura sono i sindacati ad aver assunto il ruolo di leadership nelle proteste popolari. Lo scorso 28 aprile la Centrale Unica dei Lavoratori e Forca Sindacal, le due maggiori organizzazioni sindacali della nazione verde-oro, hanno indetto il primo sciopero generale nel paese dopo ventuno anni raggiungendo percentuali di adesione elevatissime.

Alla volontà di opporsi ai disegni di legge che la maggioranza centrista sta approvando nei due rami del Parlamento si è aggiunta la richiesta di impeachment per il presidente Temer che in un incontro reso pubblico dal quotidiano O Globo con i fratelli Batista, proprietari dell’azienda Jbs, chiedeva il pagamento del silenzio del suo ex collega di partito Edoardo Cunha, in carcere per corruzione. Dopo aver respinto con forza l’idea delle dimissioni e davanti alla prospettiva di un voto anticipato che spazzerebbe via il Pmdb, stando a tutti i principali sondaggi, Temer ha schierato l’esercito nelle strade della capitale contro le nuove manifestazioni di protesta.

Parte dei trentacinquemila manifestanti che stavano marciando verso il palazzo presidenziale di Brasilia sono, infatti, penetrati all’interno del ministero dell’Agricoltura dando fuoco a una stanza. Il decreto d’emergenza, promulgato dal ministro della Difesa Raul Jungmann, ha comportato il dispiegamento di 1 300 militari e 200 marines a difesa dei palazzi del governo ma difficilmente la situazione rientrerà alla normalità in un paese che sognava il ruolo di potenza regionale e si ritrova con una sempre più alta percentuale di disoccupati a cui si vorrebbero togliere anche i sussidi emanati dai governi progressisti di Lula.

(di Luca Lezzi)