Ancora sulla “Teoria Critica”: ecco come la sinistra è diventata “liberal”

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Il marxismo culturale è un espressione che si riferisce all’applicazione della cosiddetta Teoria Critica e più in generale all’influenza politica, culturale ed accademica che ha esercitato in determinati ambienti della sinistra contemporanea.

Semplificando, la base del marxismo culturale è da ricercare negli ambienti della “Scuola di Francoforte”, ovvero di tutti quei pensatori che si raccolsero intorno all’Istituto di Ricerca Sociale dell’Università di Goethe di Francoforte, in Germania. Critici sia del capitalismo che del comunismo sovietico si imposero di affrontare le carenze del marxismo classico, nel perseguimento del cambiamento sociale.

La loro opera venne chiamata Teoria Critica, difficile da definire poiché riguarda un vasto insieme, quasi disparato, di idee, individui ed impostazioni differenti.

Negli anni ’60 la Teoria Critica della Scuola di Francoforte riuscì ad attrarre alcuni segmenti della sinistra e del pensiero di sinistra, in Europa come in Nord America. Oggi la sua influenza la si può ritrovare in tutto il mondo accademico occidentale, con il predominio sulle scienze sociali ed umanistiche.

Uno dei critici teorici più influenti, e membro originale della Scuola fu Herbert Marcuse. Una rapida occhiata a qualsiasi paragrafo scritto da Marcuse farebbe suonare un campanello d’allarme. Si consideri il seguente passaggio tratto dalla sua pubblicazione del 1965, “Tolleranza Repressiva”:

“Le piccole minoranze senza potere che lottano contro la falsa consapevolezza e i suoi falsi beneficiari devono essere protette. La loro esistenza è più importante della conservazione di diritti e libertà abusati che garantiscono diritti costituzionali a coloro che opprimono queste minoranze.”

Giustizia sociale, femminismo, neo-progressismo e post-colonialismo, solo per nominarne alcuni, sono tutti movimenti nati o ispirati dalla Teoria Critica e nati sotto l’ombrello del Marxismo Culturale.

Che sia il gender, l’orientamento sessuale, la famiglia, razza, cultura o religione, ogni aspetto dell’identità di una persona deve essere messo in discussione. Ogni norma o standard della società deve essere sfidato ed idealmente alterato al fine di beneficiare di un gruppo che si presume essere oppresso.

Mentre il marxismo classico guardava alla lotta di classe tra la borghesia ed il proletariato, per il marxismo culturale tale conflitto è tra gli oppressi e gli oppressori. La “working class” è stata rimpiazzata dalle minoranze. I gruppi di maggioranza vengono identificati come gli oppressori, con i gruppi di minoranza conseguentemente considerati come gli oppressi.

Gli eterosessuali sono gli oppressori, con gli individui cis-gender considerati oppressi. I bianchi sono gli oppressori (specialmente gli uomini), i cristiani sono oppressori.

Per poter meglio comprendere queste dinamiche, bisogna introdurre un altro membro originale della Scuola di Francoforte, Theodore Adorno, nel cui libro La personalità autoritaria definisce la genitorialità, l’orgoglio della propria famiglia, la cristianità, l’aderire ai ruoli di genere e attitudini sessuali tradizionali e l’amore per il proprio paese “fenomeni patologici”.

Questa tendenza a patologizzare opinioni e stili di vita non conformi alle sue idee è tipica del marxismo culturale. I punti di vista differenti vengono dunque descritti come paure irrazionali o “fobie”.

Per esempio, una persona che non si sente a suo agio nel vivere in stato di minoranza in un quartiere abitato da immigrati musulmani viene definita “islamofoba”, dato che il desiderio di vivere tra persone etnicamente e culturalmente simili viene considerato “malato” e “fobico”.

Se pakistani che vivono in Gran Bretagna, al contrario, mostrano una preferenza per il loro gruppo e convertono interi quartieri in un mini-pakistan (si veda il caso del quartiere Whitechapel a Londra), non c’è alcuna “malattia”, nessuna “fobia”, solo multiculturalismo.

Una celebre manifestazione del marxismo culturale è quello che conosciamo  tutti come il “politicamente corretto” in cui i canali mediatici e le scienze sociali fanno esercizio obbligatorio di quanto segue:

  1. Mettere in discussione il linguaggio comune. Gli immigrati irregolari dovranno essere definiti “migranti senza documenti”, la discriminazione etnica è descritta come “discriminazione positiva”, ad esempio. L’ambizione a definire e ri-definire le parole, in pieno stile orwelliano, può essere vista come un mezzo per controllare il dibattito e alterare le norme culturali. In quest’ottica, razzismo e sessismo vengono ridefiniti come prodotti del potere e del pregiudizio.
  2. Mantenere un’opinione fermamente favorevole verso gruppi che sono detti essere “oppressi”.

Mentre il comunismo, come Marx lo aveva definito, offriva la soluzione alla lotta di classe con un sistema sociale utopico, tutto ciò che offre il marxismo culturale è una forma desolante di eterno conflitto tra gruppi di minoranze offese. L’unica sua conseguenza logica di una sua ampia applicazione è la marginalizzazione della tradizionale cultura europea.

La delegittimazione della stessa dà origine a fenomeni dalla gravità inenarrabile, con un intero clero intellettuale progressista a costituire la falange culturale su cui gli speculatori fanno leva per imbonire l’opinione pubblica. L’uomo europeo viene così convinto della propria inesistenza fisica, intellettuale, morale, arrivando a considerare i vecchi valori come vetusti e fuori dal tempo massimo.

Si giunge dritti all’annichilimento del concetto di vir inteso come tale, all’equiparazione dello straniero al residente, incontrando così gli interessi del ceto dominante. Ceto che, da parte sua, soffia su una globalizzazione senza sosta capace di cancellare identità, differenze e diversità consegnando il mondo ad una perenne stasi consumistica.

Nessuna deviazione dalla narrativa appena citata sarà mai intrapresa, e neanche nessuna critica. Il rilevare, sforzarsi di comprendere la rilevanza di tale involuzione significa comprenderne i presupposti portanti. Coglierli nella penetrazione dello strutturalismo materialista significa abbracciare l’idea che la crisi del marxismo classico vada di pari passo con la distruzione del pensiero dialettico hegeliano.

(di Carmelo Longo)

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