In Sudamerica riesplode la questione indigena

Giambattista Vico parlava di “corsi e ricorsi storici” e parafrasandolo chi, come il sottoscritto, si occupa delle vicende latinoamericane da qualche anno non può non far rientrare tra queste la questione indigena.

A far scattare la scintilla è stato indubbiamente il neopresidente brasiliano Jair Bolsonaro che, appena insediatosi a Palácio do Planalto, ha pensato bene di sottrarre alle popolazioni indigene la gestione dei confini dei loro territori. Il neoeletto verde-oro ha tolto alla Fundaçao Nacional do Indio (FUNAI, Fondazione Nazionale per gli Indigeni) la demarcazione dei territori affidandola al ministero dell’Agricoltura, ora presieduto da Tereza Cristina.

Quest’ultima è già stata l’espressione della lobby dei grandi proprietari agricoli nel Parlamento e ora si appresta a compiere lo sfruttamento della Foresta Amazzonica annunciato da Bolsonaro durante la campagna elettorale. Pur essendo appena l’1% della popolazione totale, gli indigeni in Brasile ammontano a ben 900 000 unità secondo i più recenti dati statistici e sono in perenne lotta per la propria sopravvivenza con l’ausilio dei soli attivisti ecologisti, spesso vittime anche loro della furia omicida di chi intende arricchirsi illegalmente con lo sfruttamento di uno dei paradisi naturali del nostro pianeta.


In quel paradiso, però, l’ex militare vede un futuro per le industrie estrattive e i colossi dell’agri-business, come riportato da Alessandra Colla sull’ultimo numero della rivista di studi geopolitici “Eurasia”, ed è intenzionato a far ripartire i progetti riguardanti le grandi dighe idroelettriche ai quali si erano opposti proprio ambientalisti e nativi.


Per un presidente che va all’attacco frontale ce ne è un altro che prova a mediare. Stiamo parlando del cileno Sebastián Piñera che già nel corso del suo primo mandato presidenziale (2010-2014) aveva dovuto fronteggiare le proteste dei Mapuche nella regione dell’Araucanía. In questo caso si tratta di proteste che vanno oltre il colore politico del Governo in carica dato che i nativi dell’America meridionale non avevano trovato un’intesa sul proprio riconoscimento nemmeno durante i mandati della socialista Michelle Bachelet.


La popolazione Mapuche che negli scorsi mesi è stata protagonista anche nella confinante Argentina delle proteste contro il liberista Mauricio Macri, dove seppur in numero minore, vivono questi primi abitanti della Patagonia chiede anche la predisposizione di alcuni seggi garantiti in Parlamento. Come era già capitato anche questa volta uno degli attivisti è stato assassinato, fatto che ha radicalizzato il conflitto in corso e rischia seriamente di far saltare l’Acuerdo Nacional por el Desarrollo y la Paz en La Araucanía che l’ex imprenditore cileno e leader della coalizione di centrodestra Chile Vamos aveva presentato a fine settembre.

(di Luca Lezzi)