Perché è giusto ricordare il Che, al di là delle ideologie

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In occasione dei cinquantuno anni dalla morte di Ernesto “Che” Guevara, ha destato scalpore un post della sezione romana di Gioventù Nazionale (FdI) dove si ricorda e celebra il Comandante della rivoluzione cubana. Utenti di destra e sinistra si sono scagliati contro i giovani della Meloni, chi per denunciare l’appropriazione culturale dell’icona comunista, chi per ribadirne l’estraneità dal “patrimonio della destra italiana”.

Premettendo che chi scrive si ritiene distante da FdI, il fatto che i ragazzi romani di Gioventù Nazionale abbiano celebrato Guevara non dovrebbe stupire affatto, anzi, è una dimostrazione di coerenza rispetto alla loro “area” di riferimento. Attenzione, nessuno sta dando del “camerata” al Comandante Guevara, ma l’idillio tra destra italiana e la figura romantica del rivoluzionario cubano risale agli anni ‘60.

Era il 1967 quando dall’ambiente del Bagaglino (ai tempi cabaret culturale di destra, prima dell’avvento di Pippo Franco) viene incisa e distribuita la canzone “Addio Che” cantata da Gabriella Ferri, un singolo che esalta il sacrificio eroico di Guevara che ha avuto la fortuna di “non veder morire la sua rivoluzione”. Da allora il materiale prodotto a destra sul Comandante Che Guevara è numeroso, dai libri (si pensi a “L’altro Che”, ed. Stampa Alternativa) alla musica (come la recente “Comandante” degli Antica Tradizione) ed in questo contesto non mancano certo i manifesti elogiativi, dal Fronte della Gioventù a CasaPound passando per Azione Giovani, di cui quello di GN rappresenta solo l’ultimo esempio in ordine cronologico.

La polemica che vuole (da destra) proibire l’uso del Che è particolarmente risibile. Perché ai camerati piace il Che? Parliamo di un uomo che ha combattuto una rivoluzione che al di là dell’ideologia di riferimento, teneva a rivendicare la sovranità e l’indipendenza di un Paese sotto una giunta reazionaria schiava degli interessi americani. “Patria o muerte!” questo lo slogan che affascina quei ragazzi per cui la Patria è il bene principale da difendere e ci spiace per i liberali, i conservatori vecchi e nuovi, che inorridiscono perché un ragazzo di sedici o vent’anni preferisce elogiare il Che piuttosto che un Churchill: i giovani, che siano di destra o sinistra, vogliono esempi e figure eroiche, vogliono guerrieri e poeti.

Altri hanno criticato la scelta, come il senatore Gasparri, affermando non solo che “a destra non si può celebrare Che Guevara” ma definendolo un terrorista e assassino. Tralasciando che Gasparri non dovrebbe cadere dalle nuvole visto il suo passato nel FdG negli anni ‘70 – ‘80 , ambiente dove si è sviluppato il mito a destra del Che, vogliamo ricordare una cosa scontata a chi, mosso da interessi di parte, grida alle morti causate da Guevara: una rivoluzione, che piaccia o meno, porta con sé delle vittime. Accusare Guevara di essere la causa prima degli eccidi a Cuba è grottesco oltre che scorretto, quando si combatte una guerra vi sono e vi saranno sempre danni.

Qui non si vuole aprire un dibattito sulla rivoluzione cubana, lo stato socialista o altri pezzi di storia ma pensiamo che, a prescindere dall’ideologia individuale, non si possa rimanere in silenzio di fronte a un uomo come Ernesto Che Guevara. Un uomo che ha preferito morire per mandare avanti i suoi ideali piuttosto che marcire da burocrate, merita rispetto o perlomeno l’onore delle armi. Il Che è comunista, eppure in un’epoca post-ideologica come la nostra, rappresenta ancora un esempio che va studiato senza pregiudizi.

(di Antonio Pellegrino)

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