Vice dà voce a un pedofilo condannato

Dennis Mintun, 56 anni, è detenuto nell’Idaho State Correctional Institution di Boise, Idaho, dove sta scontando una pena a 45 anni di carcere per tre accuse di abuso sessuale su un minore di sedici anni”. Per quanto incredibile possa sembrare, non è il paragrafo di un articolo di cronaca nera americana, né l’antagonista di un romanzo di Michael Connelly, bensì la firma in calce di un articolo pubblicato dal web magazine canadese-statunitense Vice.

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L’articolo, pubblicato anche sul quotidiano online The Marshall Project, si intitola “La mia gang gay combatte i neonazisti in prigione“, sottotitolo: “Ci chiamano i guerrieri arcobaleno“. L’autore, tale Dennis Mintun, descrive il suo arrivo nella prigione federale, all’interno della quale “una delle gang, chiamata Aryan Knigts, picchiava gli omosessuali e i molestatori di bambini come rito di iniziazione per i propri membri”.

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L’uomo racconta che la sua scelta di formare e porsi a capo di una gang composta da omosessuali e transessuali all’interno dell’istituto carcerario è nata in seguito al brutale pestaggio di un altro detenuto, tale Peter, successivamente deceduto per le percosse dei membri della gang neonazista.

“Non mi importa che cosa pensa la gente”, conclude l’autore dell’articolo, “quando una persona viene tormentata o violentata, e c’è qualcosa che io posso fare, specialmente se quella persona è un mio fratello o sorella gay o trans, è un mio problema”. La descrizione di Vice, tuttavia, non è precisa.

Chi è Dennis Minton? La sentenza della Corte d’Appello dell’Idaho , eseguita il 10 luglio 2007, riporta che “il 22 luglio 2002 Mintun ha indotto tre bambini, di 7, 9 e 10 anni di età, a toccarsi a vicenda con l’intento di soddisfare il suo desiderio sessuale. Due dei ragazzi erano fratelli, e il terzo era un cugino; uno di loro era nipote di Mintun”. Si legge inoltre che “in una data diversa, Mintun ha commesso abuso sessuale inducendo un bambino di dieci anni a guardarlo e fotografarlo mentre si masturbava”.

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Nonostante si sia difeso sostenendo che “il suo affetto per i ragazzi non era di tipo sessuale”, la sentenza d’appello ha confermato la sua colpevolezza per tutti i capi d’accusa.

Questo, e altri articoli simili, fanno parte di una rubrica del giornale denominata “Life inside“, nei quali si dà voce ai detenuti delle prigioni statunitensi, alcuni dei quali incarcerati a seguito di crimini feroci: un altro pezzo pubblicato il 31 agosto, ad esempio, è scritto da tale “Lyle May, in attesa di condanna a morte per l’omicidio di una donna e del suo figlio di quattro anni”, mentre un altro articolo, pubblicato il 20 aprile, porta la firma di “Derek R. Trumbo Sr., condannato a 25 anni di prigione per abuso sessuale su un bambino”. Rimane ovviamente il dubbio su quanto sia opportuno dare voce a personaggi che, certamente, non possono essere mesi in luce positiva.

(di Federico Bezzi)