Il Populismo non è il problema

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I concetti che usiamo per inquadrare la nostra comprensione del mondo politico sono sempre racchiusi all’interno delle politiche che intendono descrivere; mettono in chiaro certi aspetti di un contesto politico, mentre ne nasconde o oscura totalmente altri. Per esempio, quando i sostenitori della Costituzione degli Stati Uniti si proclamavano “federalisti” ed etichettavano i propri avversari come “antifederalisti”, non solo sottolineavano il proprio impegno per il consolidamento del potere nazionale, ma spostavano la cornice del dibattito politico verso determinate forme istituzionali e lontano dai conflitti sociali post-rivoluzionari tra le élite commerciali e le nuove classi popolari.

Questo è un tema ricorrente della politica, ma la natura del linguaggio e la sua relazione con le idee politiche diviene particolarmente vivo – e urgente – in periodi di crisi, quando nuove forme politiche emergenti sfidano “la vecchia politica”, così come i concetti che eravamo soliti usare per descriverla. Questi sono periodi che ci richiedono di essere più riflessivi riguardo le categorie politiche alle quali ci affidiamo: ciò che rivelano e ciò che nascondono.

Ciò vale per “populismo”, il termine che intellettuali e giornalisti uso per descrivere l’emergente autoritarismo del nostro tempo e il pericolo che pone alla democrazia liberale. È difficile tenere nota del numero enorme di conferenze, simposi, libri e articoli dedicati alla spiegazione del ruolo del populismo nell’accelerazione del declino democratico. I titoli altisonanti (“How democracy dies” di Steven Levitsky e Daniel Ziblatt; “The People vs. Democracy” di Yascha Mounk; “Anti-Pluralism: The Populist Threat to Liberal Democracy” di William Galston, e così via) rivelano una tesi ampiamente condivisa. Come ha scritto Jan-Werner Müller nel suo libro “What is Populism?”: “Il pericolo per le democrazie oggi non è rappresentato da qualche ideologia che nega gli ideali democratici. Il pericolo è il populismo – una forma degradata di democrazia che promette di far valere i più alti ideali della democrazia”.

Per Müller e altri eminenti propugnatori della tesi populista, “populismo” rappresenta il pericolo comune posto alla democrazia dai leader più disparati come Trump e Chavez, Orban e Morales, Erdogan e López Obrador, e dai movimenti politici più disparati come Podemos e il Tea Party, Syriza e Alternative für Deutschland, il Movimento 5 Stelle e il Front National. Ma cosa possiamo ottenere un concetto che può unire sotto la sua definizione tali e tanti leader, movimenti e partiti?

Come ha sostenuto Roger Cohen in un recente articolo del New York Times, non molto. Cohen ritiene che questo termine debba essere abbandonato, perché “è diventato abusato al punto da avere perso ogni significato, un epiteto che racchiude qualunque manifestazione di rabbia politica”. Il problema, tuttavia, non è solo l’ambiguità o l’arrendevole pigrizia delle élite metropolitane che non riescono a trovare un termine più preciso per “descrivere l’attuale fenomeno politico”. Il problema è tanto l’imprecisione concettuale quanto l’offuscamento politico. L’accusa di populismo non solo offusca la nostra comprensione delle dichiarazioni dei leader e dei movimenti anti-establishment, ma inibisce la nostra capacità di comprendere le cause del declino democratico.

L’accusa generalizzata di populismo scandaglia i confini della “vecchia politica” e i parametri del discorso politico legittimo e ragionevole. I sostenitori della tesi populista enfatizzano i suoi pericoli autoritari mentre sembrano non prestare attenzione ai problemi strutturali del declino democratico, come le crescenti diseguaglianze di denaro e potere che hanno definito l’era del neoliberismo globale e la privatizzazione dei beni pubblici. Queste fonti del declino democratico – e la conseguente devoluzione dinamica che Antonio Gramsci ha definito elegantemente “equilibrio catastrofico” – sono le prime cause della nascita dei movimenti autoritari. Il termine “populismo” non contribuisce ad approfondire queste cause.

Roger Cohen non è solo. La maggior parte delle discussioni sul populismo iniziano evidenziando l’intrinseca ambiguità del termine, cosa che ha condotto Richard Hofstadter, uno dei maggiori storici e critici americani del populismo, a intitolare la propria conferenza del 1967 “Tutti parlano del populismo, nessuno sa cosa sia”. Anche se la maggior parte degli studiosi è d’accordo sulla sua flessibilità ideologica, il consenso decade quando si tratta di distinguere il populismo da altre forme politiche. È una forma particolare di organizzazione partitica e di mobilitazione elettorale, o è un movimento sociale ed un esempio di lotta politica? È uno stile di retorica politica, o un’ideologia coerente? Con tutto questo disaccordo, non stupisce che i maggiori esponenti della teoria populista pongano al centro la sua ambiguità e sostengono che il populismo sia un contenitore vuoto.

L’ambiguità intrinseca del populismo aiuta a spiegare l’uso vago e confuso del termine nelle discussioni contemporanee, ma alcuni sostengono che il populismo, per quanto ideologicamente flessibile, non sia un termine completamente aperto. Il populismo è un discorso organizzato attorno ad alcune idee chiave. Ovviamente, emerge dall’impegno verso la sovranità popolare, dall’idea che il popolo sia la vera fonte di autorità pubblica, e che l’appello politico a tale autorità possa trascendere le istituzioni formali di rappresentanza democratica.

I sostenitori della tesi populista evidenziano l’assunto di parlare a nome del popolo contro un potere corrotto e una élite che lo rappresenta. L’idea che la volontà popolare possa essere identificata oltre le istituzioni dello stato costituzionale getta la condizione, per i leader populisti, per dichiarare sé stessi portavoce dell’autorità popolare contro tutte le altre fazioni politiche. Il punto centrale del populismo, ci viene detto spesso, è che solo una parte del popolo è “Il Popolo”, e che sono i leader populisti ad agire per essa.

Questa idea fondamentale rappresenta la democrazia illiberale associata al populismo e il suo rifiuto degli elementi basilari del pluralismo democratico. Quando sono al potere, gli appelli populisti all’autorità popolare assoluta portano al rifiuto della separazione dei poteri, dell’indipendenza giudiziaria, dell’opposizione politica legittima, e altre norme formali e informali del costituzionalismo liberale. La personalizzazione della politica non è un incidente del populismo, ma è essenziale allo scopo, perché è solo attraverso il leader populista che il popolo può scatenare la sua vendetta contro le élite corrotte e riottenere il potere.

Quando si considera questo scenario familiare del populismo e i pericoli che pone alla democrazia, è bene ricordare che “populismo” origina da un movimento politico del 19mo secolo nato per combattere l’oligarchia economica e l’ordine politico degli Stati Uniti della Gilded Age. Vent’anni prima del People’s Party e del celebre Discorso della Croce d’Oro di William Jennings Bryan alla Convention del Partito Democratico del 1896, la Farmer’s Alliance ha rappresentato il cuore egualitario del populismo statunitense. Per tutti gli anni ’80 del ‘800, centinaia di migliaia di uomini e donne hanno partecipato a questo network non gerarchico di organizzazioni cooperative, le quali erano attive in quarantatré stati. Il populismo statunitense, ben lontano dalle idee cesariste del personalismo autoritario, era, come ha scritto Lawrence Goodwyn:

“Soprattutto un movimento cooperativo che donava un senso di valore agli individui e gli forniva gli strumenti per conoscere il mondo in cui vivevano. Il movimento gli diede la speranza -una speranza condivisa- che non fossero vittime del gigantesco motore industriale, ma che fossero, invece, persone che potessero compiere specifici atti di autodeterminazione”

Questo esperimento populista con nuove forme democratiche – e lo sforzo di comprendere e cambiare complessivamente la propria condizione di vita – definisce il realismo democratico radicale del populismo statunitense. La lotta per generare un potere democratico fuori dalle istituzioni governative e per costruire un “commonwealth cooperativo” diede vita al concetto di populismo – una storia che è stata cancellata dalle nostre preoccupazioni contemporanee per il “populismo e il declino democratico”. In effetti, come scrive Müller in “What is Populism?”, “un partito nella storia americana che si chiamava esplicitamente populista, di fatto non era populista”.

Il punto, tuttavia, non è risolvere l’ambiguità semantica del populismo appellandosi al suo significato originario. Invece, prendendo tuttavia spunto da quella storia, dovremmo esaminare come il populismo operi nel dibattito politico contemporaneo, specialmente i pericoli alla democrazia che esso mette in luce e quelli che oscura.

Concentrandoci sul populismo come fonte principale del declino democratico, gli sviluppi economici e politici che hanno minato le istituzioni democratiche e il senso di cittadinanza democratica negli scorsi quarant’anni vengono oscurati. Peggio ancora, “populismo” è diventato il nome per indicare qualunque movimenti sfidi questo declino appellandosi al senso di autorità collettiva e di controllo politico, sia esso basato sulla destra razzista e xenofoba o sulla sinistra radicale. I tentativi autoritari di centralizzare ed espandere il potere esecutivo dello stato e di rivolgerlo contro i “nemici del popolo” – come descritti da Trump, Erdogan, Orban e altri – non dovrebbero essere paragonati allo sperimentalismo democratico istituzionale di Podemos o della Farmer’s Alliance. Si dovrebbe prestare più attenzione a come “Il Popolo” viene visto da questi diversi movimenti, e da come intendono esercitare democraticamente il potere popolare.

Usare “populismo” come termine che può meglio incapsulare i pericoli politici che l’autoritarismo pone alle politiche democratiche in diverse parti del mondo, ha anche l’ulteriore conseguenza di suggerire che la resistenza diffusa a questi movimenti non dovrebbe essere populista, non dovrebbe dichiarare di “rappresentare il popolo” e impegnarsi in una politica antagonistica su chi siamo e su quale tipo di potere collettivo dovremmo esercitare. Questo movimento politico dovrebbe riconoscere che un ritorno alla “vecchia politica” potrebbe essere insufficiente per fare fronte ai problemi che le democrazie devono affrontare. I difensori della democrazia non possono arrendersi all’autorità del popolo senza compromettere l’obiettivo stesso per cui dichiarano di lottare.

(da Boston Review – Traduzione di Federico Bezzi)

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