Ho letto e sentito molto su quanto accaduto il 14 agosto al Ponte Morandi di Genova, crollato con uno spiffero, provocando 40 morti.
Ho letto e sentito le dichiarazioni del governo, di Conte, Di Maio e Salvini. Ho letto – ovviamente – della volontà dichiarata di revocare la concessione ad Atlantia Spa e di rimettere le autostrade in mano allo Stato. Ho letto, in modo più semplice, anche la banale richiesta di responsabilità su quanto avvenuto, i famosi “nomi e cognomi” che in Italia non arrivano mai.
Ho letto anche le giustificazioni provenienti dalla società privata – Atlantia, appunto – che gestisce le autostrade e che ora ha sulla coscienza decine di vite.
Ho letto chi, non senza fondamento, dice che revocare la concessione per il governo potrebbe essere impossibile, perché il contratto siglato nel 2002 imponeva regole ben precise e – soprattutto – penali plurimilardarie in caso di rescissione.
Ed è su quest’ultimo punto che vorrei concentrarmi: 20 miliardi, per la precisione. Quanto guadagnato dalla società nel 2017 moltiplicato per gli anni mancanti alla fine dell’accordo (2038).
Indipendentemente dalla liceità giuridica della richiesta, il vero problema è la firma che 16 anni fa ha inchiodato lo Stato italiano, autore di elargizioni a privati di ogni tipo, incluse le proprio le autostrade.
Un settore, quello dei trasporti, che non può essere dato in mano ad aziende impostate sul profitto. Perché lo Stato deve controllare i settori strategici dell’economia, i trasporti e anche molte aziende ad esse correlate. La favola dello Stato sprecone a prescindere crolla di fronte ai dati. Come riporta Dagospia, le autostrade, gli autogrill e quant’altro erano “il bancomat dello Stato”, un po’ come oggi il Superenalotto, aziende in salute anche per la loro attività strategica, incompatibile con un reale calo dei consumi e delle spese di settore.
Ma sui 20 miliardi c’è da discutere, perché se è vero che i Benetton hanno tutto il diritto di chiederli, è vero – e non si capisce perché chi li difende ignori deliberatamente la questione – non è assolutamente scontato che potrebbero ottenerli.
La libertà dello Stato è il vero tema di questa vicenda. Una libertà finita da una trentina d’anni nella prigione delle privatizzazioni massificate, ad ogni costo, con accordi firmati ai limiti dello strozzinaggio.
Ebbene, se lo Stato proverà davvero ad uscire dalla gabbia in cui è imprigionato da oltre 20 anni, entrerà in contenzioso con Atlantia, e non è assolutamente detto che i 20 miliardi richiesti debbano essere versati per forza. Non solo per l’articolo 7 della convenzione che chiede relativamente modesti risarcimenti, ma soprattutto per l’articolo 9, che conferisce allo Stato la possibilità di far decadere l’accordo in caso di gravi inadempienze.
Le variabili sono tante: la capacità del governo di passare dalle parole ai fatti, l’orientamento del magistrato che si troverà a decidere sulla questione (non ce ne vogliano i sinistri, ha sempre contato e sempre conterà), la bravura di difensori legali e quant’altro. Purtroppo.
Su due cose non c’è da discutere: 40 morti costituiscono un’inadempienza grave da qualsiasi lato si guardi la questione, e la responsabilità oggettiva non può che essere di Autostrade per l’Italia. Semmai si può discutere dei singoli nominativi, sui quali temo ci sia da essere pessimisti, ma i punti fermi mi paiono incontestabili.
Inutile dire che noi tifiamo per lo Stato. E speriamo che il governo non molli sulla questione. Chi si crogiola dietro la massima “è un’azione impossibile” è pregato di tenere questo Paese nello stato pietoso in cui si trova oggi.
(di Stelio Fergola)