“Nun moro io“. È diventata celebre questa frase urlata mentre, nell’ultimo sussulto di vita, Enrico Toti scagliava contro il nemico una stampella. Essere eroi, lasciare il segno, è così che si diventa immortali. Lo ribadirà Leon Degrelle anni dopo, quando scriverà che “Morire vent’anni prima o vent’anni dopo poco importa. Quel che importa è morir bene. Soltanto allora inizia la vita”.
È un concetto chiaro, fisso nella mente di quelli che chiamiamo eroi, dagli spartani alle Termopili ai tantissimi ragazzi morti per difendere la loro terra. E tra gli eroi italiani che si fecero onore, consegnandosi all’immortalità nella carneficina della Grande Guerra, è forse proprio Enrico Toti il nome che subito viene alla mente. Una storia, la sua che ha dell’incredibile e ne ha fatto esempio assoluto di forza di volontà, dedizione, amore e sacrificio.
La vita di Enrico Toti
Nasce nel quartiere San Giovanni di Roma il 20 agosto 1882. Appena quindicenne si imbarca come mozzo in diverse navi. Durante la sua esperienza in marina inizierà già ad avere i primi incontri con il pericolo come quando, nel 1904 si scontrerà coi pirati che infestano, nel Mar Rosso, le acque dell’Eritrea, colonia italiana.
Congedadosi l’anno dopo viene assunto nelle ferrovie come fuochista, ricalcando le orme del padre, anch’egli ferroviere. È proprio durante questa esperienza che avviene l’incidente che lo segnerà per il resto della vita. Mentre lavorava infatti tra due locomotive presso la stazione Colleferro, queste si spostano e la sua gamba vi si incastra. Trasportato in ospedale ne subirà l’amputazione.
Ma Enrico ha un carattere forte e le avversità non ne arrestano la vitalità di spirito. Dal 1911, con una bici da lui con un solo pedale, da egli stesso modificata in base al suo handicap, intraprese una serie incredibile di viaggi che lo portarono a girare prima l’Europa (dall’Italia alla Norvegia fino alla Russia, scendendo lungo Polonia e Austria) e poi l’Africa, mantendosi con lavoretti che trovò di volta in volta nei vari luoghi.
In Patria il suo nome inizia anche diffondersi diventando quasi una celebrità, e regalandogli anche qualche apparizione su invito in teatro.
La Grande Guerra
Arriviamo però al 1915: la prima Guerra mondiale stravolge l’Europa e il forte sentimento patriottico che alberga nel suo animo, non consente a Toti di restare indifferente. Tenta in tutti i modi di farsi arruolare presentando ben tre domande, tutte respinte a causa dell’amputazione subita. Tutto ciò non basta però a farlo desistere.
“Mi raccomanderò tanto finché dovranno far combattere anche me; mi sento con tanta forza e tanta energia che mi parrebbe una viltà rimanere inoperoso, mentre lassù posso essere utile anch’io” dice ai parenti.
Salta allora in sella alla bici e raggiunge autonomamente il fronte a Cervignano del Friuli dove si offre come portalettere e fa la spola tra gli ospedali e i ricoveri dei feriti. Niente stellette, niente arruolamento. Toti è qualcosa di stranissimo, un civile volontario al fronte. Obbligato dai carabinieri a ritornare a vita civile riesce finalmente, nel 1916, supplicando il duca d’Aosta Emanuele Filiberto ad ottenere la sua intercessione che lo farà aggregara al Terzo battaglione bersaglieri ciclisti.
Toti, l’atto eroico e la morte
Il 6 agosto 1916, nella Battaglia dell’Isonzo, insiste per seguire i compagni nella conquista di Quota 85, sopra Monfalcone. Durante lo scontro viene colpito tre volte. Prima di esalare l’ultimo respiro compie il gesto che lo ha reso un simbolo: lancia la sua gruccia al nemico con le ultime forze rimaste.
«Volontario, quantunque privo della gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d’arme dell’aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto, nel combattimento che condusse all’occupazione di quota 85 (est di Monfalcone), lanciavasi arditamente sulla trincea nemica, continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell’anima altamente italiana»
Riceverà ugualmente, da non immatricolato come militare, la medaglia d’oro al valor militare lasciando nel ricordo collettivo un gesto, quel suo ultimo gesto, che diviene, immortalato dalla Domenica del Corriere, simbolo di una vita vissuta senza mai arrendersi; l’emblema di una vittoria dovuta all’eroico sacrificio.
(di Simone De Rosa)