Governo o meno, ecco perché il vincitore delle consultazioni è Salvini

Ammesso e non concesso si possa parlare di “vincitore” in un sistema politico che preclude lo stesso concetto di vittoria, è indubbio che su Matteo Salvini abbiano pesato, fin dai suoi esordi in politica, due anime critiche.

C’era chi lo sosteneva rimarcandone i limiti intellettuali, enfatizzando soprattutto la capacità di raccogliere voti, e chi senza appello lo azzannava ponendolo sotto l’ala del classico fasciopoulismo (più vari ed eventuali sinonimi), dell’ignoranza, della strumentalizzazione delle tragedie dei “migranti”, del solito razzismo tirato via ad ogni occasione propizia.

Pur nella diversità delle impostazioni di base, entrambe non prendevano minimamente in considerazione la possibilità che Salvini stesso potesse essere un politico in grado di trattare, di mettere a confronto programmi, di avere un ruolo guida non solo per il suo polo politico, ma anche per l’intera classe dirigente. In sintesi, di essere un leader.

La critica “da sinistra” di Salvini ha sempre sofferto dei mantra della buona vecchia scuola antiberlusconiana, i cui adepti negli anni sono stati capaci di proferire le più assurde fesserie, in barba all’analisi oggettiva dei fatti: il Cavaliere, oltre a mafioso, criminale, puttaniere e quant’altro, era infatti definito spesso dai più addirittura come uno sprovveduto, un’intelligenza mediocre, uno la cui ricchezza creata da zero non dimostrava nientemeno che alcuna capacità o competenza personale.

Qualcosa del genere è avvenuta anche a Matteo Salvini, con la differenza che il leader del Carroccio non ha mai competuto per posizioni di governo prima di oggi, non è mai stato il traino di un intero polo come Berlusconi, ma “semplicemente” un ago della bilancia fastidioso sì, ma non tanto da andare oltre le accuse di fascismo, razzismo e populismo.

Insomma, niente criminalizzazione e condanna morale, ma “solo” delegittimazione politica e culturale, posizione tipica di un mondo, quello progressista, unico nel sentirsi superiore sotto ogni aspetto ai buzzurri che, davvero non si capisce perché, hanno il coraggio di dire peste e corna dell’immigrazione di massa, delle regole assurde di Bruxelles e della situazione italiana nel contesto europeo.

Devo ammettere che neanche a me Salvini è mai parso un falco, e da questo punto di vista la mia posizione era molto simile a quella delle “critiche da destra”: grande animale da campagna elettorale, ma quando la sostanza avrebbe imposto, dubitavo anche io avrebbe dimostrato chissà quali doti.

Ebbene, gli ultimi due mesi hanno smentito clamorosamente ciò che pensavo sul leader della Lega, mentre gli antiberlusconiani vecchia maniera continuano a contorcersi dietro i loro non-ragionamenti ma, tant’è, dobbiamo accettarne l’irrecuperabilità.

Dal 4 marzo ad oggi Matteo Salvini è riuscito a fare tutto il possibile per ottenere tre risultati fondamentali: non rompere la coalizione di centrodestra (a meno che non si fossero presentate occasioni proficue del tutto irrealistiche in un contesto tanto ingarbugliato), escludere il PD da qualsivoglia esecutivo, riuscire a comunicare un profilo di coerenza al suo elettorato che, a giudicare dalle ultime consultazioni locali (Molise e soprattutto Friuli) nel frattempo lo sta premiando.

Disgregare il centrodestra era la prima, sbagliatissima tentazione: la matematica non è un’opinione, il veto di Di Maio sul Cav non avrebbe escluso una partecipazione di FdI alla stramba nuova coalizione, e insieme i partiti avrebbero potuto gestire una maggioranza di più del 50% dei seggi.

Ma rompere il blocco tra Lega, FI e FdI nel lungo periodo avrebbe potuto produrre altre grane, soprattutto in chiave elettorale. Salvini era ben conscio che la situazione si sarebbe potuta sciogliere solo a patto di vantaggi clamorosi che la trattativa con il leader de 5 Stelle non aveva mai nemmeno preso in considerazione: il premierato.

E così Luigi propone, gli intima, mette il veto a Berlusconi, crede di avere il coltello dalla parte del manico (ed elettoralmente lo possiederebbe, forte del suo 32% contro il 18 di Salvini), ma Matteo non molla, se non si può fare un governo con l’intera coalizione allora non se ne fa nulla, si vada al voto.

Dall’altro lato Berlusconi sbatte i piedini: “Mai con i 5 stelle” tralasciando metafore improbabili con dignitosissimi operatori sanitari nei bagni pubblici. Come si fa? Si tiene duro e si aspetta.

Si aspetta che Di Maio faccia il suo ennesimo salto della quaglia credendo di vincerla facile ottenendo un accordo col PD, si aspetta che Renzi (tutt’altro che finito come troppo spesso urlano tutti, magari ispirati dalla saggezza sempre delle proprietà analitiche antiberlusconiane di cui sopra) gli risponda picche. Si aspetta, non si cede, e alla fine si vince.

Perché se da un lato Berlusconi cede (pur con furbesca dialettica e una strategia che ha richiamato alle sue fasi più acute della storia politica italiana) con “l’astensione benevola”, dall’altro lato cede anche il geniale Di Maio, che prima “ritorna” da Salvini proponendogli il voto, poi recepisce il “sì” del Cav e rilancia per l’accordo di governo. Quasi diventando un supporter improvvisato del Silvio, l’uomo “non responsabile di questa situazione di stallo”.

Sì era partiti da un governo comune, al netto delle discussioni (premier mio e premier tuo) senza toccare, di fatto, la coalizione di centrodestra. Sì è tornati – ed a questo punto è abbastanza difficile si cambi registro, pena riflessi non proprio ottimi sull’opinione pubblica – al governo comune.

Matteo Salvini, insomma, è l’unico possibile vincitore di queste consultazioni. Beninteso che in una situazione di stallo simile un vincitore possa al massimo ottenere accordini e poco altro, almeno finché in questo Paese non ci si renderà definitivamente conto che non è mai esista una formazione politica rappresentabile in parlamento con il 50% + 1 dei consensi e che di conseguenza questa passione smodata per il proporzionale puro non ha alcuna connessione con la realtà e con chi vorrebbe vedere l’Italia, almeno una volta ogni tanto, governata da qualcuno.

Ci sarà da divertirsi, nonostante tutto.

(di Stelio Fergola)