Il significato vero di volontariato e solidarietà

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Lo spirito di solidarietà e di mutuo aiuto è presente da sempre nelle culture mediterranee: guardiamo l’epica greca o latina, gli insegnamenti evangelici o l’Islam – che tra i suoi cinque pilastri annovera la zakat, l’elemosina legale perché i membri benestanti della comunità sostengano economicamente quelli meno abbienti-.

È normale, dunque, sentire una propensione naturale ad aiutare il prossimo, senza chiedere nulla in cambio; non deve stupire il fiorire di associazioni od organizzazioni – governative e non – che si pongono questo preciso scopo. Che in un secondo momento le finalità non siano rispettate oppure siano solo di facciata (pensiamo ad esempio alle indagini sulle Ong che nel Mediterraneo hanno trasbordato da una riva all’altra centinaia di persone, in accordo con i trafficanti di esseri umani), questo è un discorso da affrontare in un altro momento; se n’è già parlato, e molto probabilmente se ne parlerà ancora negli anni se non mesi a venire.

Concentriamoci invece sull’aspetto quello più pratico e tangibile del volontariato, passateci il termine, serio, veramente umanitario e solidale: chiunque volesse oggi iniziare un percorso del genere si troverebbe di fronte ad un mare magnum di associazioni che hanno bisogno di volontari. Citiamo giusto un paio di nomi: la Croce Rossa, l’Avis e lo scoutismo.

Iniziamo dal movimento fondato da Baden Powell, e vediamo che la sua struttura richiama in maniera tangibile un corpo militare – d’altronde sono nati come una parte dell’esercito britannico di sua Maestà, poi però sviluppatasi come un gruppo a sé per istruire i giovani ragazzi inglesi -, e che la promessa scout impegna il singolo a rispettare, oltre a Dio, la famiglia ma soprattutto la Patria (alla faccia dei soloni che rivendicano allo scoutismo una tensione cosmopolita e, volendo utilizzare un termine audace, mondialista e senza frontiere!).

C’è pure dell’altro: la formazione della cultura della cittadinanza attiva sotto ogni suo aspetto, ed è questo il punto su cui ci preme porre l’attenzione, porta dunque a creare una spinta nello scout sia a partecipare ad un volontariato, per così dire, collettivo o meglio sistematizzato sia ad uno più individuale.

Il Servizio è questa fase: il rover, o la scolta o la guida, cioè colui o colei che sono entrati nella Compagnia, o nel Clan (i nomi variano da Cngei ad Agesci, rispettivamente Corpo Nazionale dei Giovani Esploratori Italiani e Associazione Guide E Scout Cattolici Italiani) prestano, appunto, servizio o all’interno dell’associazione scout, affiancando gli educatori nel lavoro con i bambini o con i ragazzi più piccoli, oppure in qualche organizzazione esterna, come appunto il trasporto malati o degenti sulle ambulanze, o promuovendo la donazione di sangue.

L’associazionismo scout è il nucleo originario da cui poi si dipana in varie strade la voglia di aiutare il prossimo; ovviamente non è necessario essere dei lupetti per fare volontariato, sarebbe un ragionamento insensato oltreché fazioso – anche se chi scrive rivendica con orgoglio la sua appartenenza al Cngei – e per nulla veritiero: gran parte delle persone che oggi dedicano il proprio tempo agli altri lo fanno per puro spirito nobile di solidarietà, senza una formazione avuta di fronte ad un falò e ad una tenda – utile, ma non necessaria.

È un retaggio culturale il nostro “voler aiutare”; è presente nella natura di ognuno di noi e rifiutarlo sarebbe rinnegare la propria identità. Ecco perché si rende necessario soprattutto oggi prendere posizione in merito, mettendoci la faccia senza pensarci due volte: fare volontariato non è quello che stanno combinando alcune Ong nel Mar Mediterraneo o Cooperative (rosse o bianche non fa differenza) nel sud Italia, lì è compiere atti criminosi e criminali.

Il significato è diverso: è allungare la mano a chi è in difficoltà, prestando servizio in ambulanza o portando coperte o bevande calde ai senzatetto (anzi, usiamo un termine meno politicamente corretto: ai barboni, clochard è un francesismo inutile che tenta di edulcorare una situazione che di dolce non ha nulla), o insegnando nelle scuole o nei luoghi di lavoro come eseguire il Basic Life Support (in poche parole, il massaggio cardiaco e le manovre base di soccorso). È aiutare la Protezione Civile, se si parla della Croce Rossa -che ha una prestigiosa storia alle sue spalle-; oppure allungare letteralmente un braccio per donare un po’ di sangue o plasma, se si aderisce all’Avis o alla Fidas; oppure del midollo osseo, con l’Admo; o gli organi, con l’Aido.

Ecco: aiutare gli altri, è ovvio, non significa inchinarsi a novanta gradi, come può sembrare se si segue solo le vicende di Amnesty International o Emergency, ma solamente, e qui concludiamo con una sentenza di Baden Powell, di “lasciar il mondo un po’ migliore di come lo si è trovato”.

(di Alessandro Soldà Cristofari)

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