Caro Augias, i giovani fascisti li costruite voi

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In un video pubblicato qualche giorno fa da “Repubblica tv”, il noto scrittore ed intellettuale Corrado Augias ha definito parecchi giovani italiani come dei “fascisti inconsapevoli”. Ha detto ciò mentre recensiva oralmente un libro di Christian Raimo, pubblicato di recente ed intitolato “Ho 16 anni e sono fascista” (Piemme, 2018).

Dal momento che sono un giovane di 24 anni che, senza ombra di dubbio, il caro Augias bollerebbe immediatamente come “fascista”, mi sono sentito in dovere di rispondere all’egregio giornalista di Repubblica per cercare di dimostrargli che, al di là delle etichette che ama affibbiare, almeno “inconsapevole”, non lo sono.

Personalmente, conosco molto bene la cultura delle persone come Augias: la mia famiglia è sempre stata di “sinistra”, i miei genitori hanno sempre letto “la Repubblica” (almeno sino a qualche anno fa) ed apprezzato scrittori vicini a quel genere di pensiero. La biblioteca di mio padre è colma di libri scritti da tutti quei filosofi di cui si è innamorata la generazione degli anni Settanta, i quali erano certamente intellettuali molto intelligenti ed apprezzabili, che tuttavia hanno contribuito, dominando il dibattito culturale degli ultimi decenni, a formare quello che è il “pensiero unico” attuale.

O quantomeno hanno fatto sì che si affermasse quello che è il sentimento più diffuso e propagandato della nostra epoca: l’odio per il potere e per qualsiasi forma di limite. In barba a mio padre (uomo, ci tengo a sottolinearlo, radicalmente diverso da Augias), il quale sperava, quando mi sono iscritto al Corso di Laurea in Scienze Politiche, di potermi passare tutti quei libri che sono stati fondamentali per la formazione del suo pensiero, la mia piccola biblioteca si è riempita di volumi di Carl Schmitt, Pierre Drieu la Rochelle, Jean Thiriart, Alain de Benoist, Aleksandr Dugin ecc. Tutti autori che Corrado Augias non esiterebbe ad incasellare sotto il simbolo dell’estrema destra.

Ma perché questa radicale presa di distanza di uno stupido ventenne dal milieu culturale dei propri genitori? Il motivo è molto semplice, in realtà. Essendo nato nel ‘94, si può dire che io non abbia mai visto il potere “in faccia”. Fin dalla prima elementare mi è stato insegnato, in modo più o meno diverso, ad odiarlo, il potere. E con esso la gerarchia, i confini e tutto ciò che può porre dei limiti alla libertà dell’individuo. Tuttavia, quelli in cui vivo ed ho vissuto finora sono tempi decisamente paradossali: il potere non si vede, è nascosto nell’economia, nei media, nessuno lo rivendica eppure c’è, ed è molto più penetrante, opprimente ed annichilente di quanto non lo fosse prima.

Tutto ciò mi ha portato istintivamente (ma non senza ragioni) a sentire il bisogno di una cosa sola: del potere, quello vero. Ovvero quello manifesto, esplicito, rivendicato orgogliosamente da chi lo detiene. Quel potere che è volontà di potenza, che porta chi lo tiene nelle proprie mani ad assumersi la responsabilità di quest’onere gigantesco, a “metterci la faccia”. Ecco, in parte la mia è proprio una gran voglia di “facce”.

Ma non di quelle che, pur avendo in mano buona parte delle sorti dell’umanità, si presentano come dei paladini della pace e della libertà, dei benefattori, delle persone generose e di sani principi, quando in realtà non sono altro che dei codardi egoisti, vergognosamente ipocriti, animati non da volontà di potere o di potenza, ma soltanto di profitto (che in fondo non è altro che una volontà di potenza perversa e degenerata). Quest’ultimi sono “preti”, nel senso nietzschiano del termine.

Le “facce” di cui io, stupido ed inconsapevole ventenne che non conosce la storia, sento il bisogno, dunque, sono quelle di uomini che non temono di rivendicare la propria posizione e di assumersi tutta la responsabilità che da essa deriva. Uomini che non hanno paura a battersi per difendere la loro particolare visione del mondo. D’altra parte, come diceva Carl Schmitt nel 1929: “Ormai conosciamo la legge segreta di questo vocabolario e sappiamo che oggi la guerra più terribile può essere condotta solo in nome della pace, l’oppressione più terribile solo in nome della libertà e la disumanità più abbietta solo in nome dell’umanità”.

Così un giovane come il sottoscritto può essere facilmente affascinato da una figura come quella di Putin: egli si mostra come un presidente che è tutto il contrario di un ipocrita, che ha il coraggio di combattere ciò che lo nega e di difendere il proprio Paese dal potere assimilatore ed avvilente dell’attuale mondo liquido e globalizzato.

Vivendo nel mio tempo credo di aver capito quanto sia vera la seguente frase di Thomas Hobbes: “la libertà è la potenza”. Sì, perché oggi ogni reale emancipazione dai tentacoli della globalizzazione non si può che ottenere a seguito di un radicale atto di potere, di una decisione sovrana attuata da un’entità politica come uno Stato. Una chiusura (altro termine impronunciabile dinanzi agli intellettuali come Augias) rispetto all’attuale società mondiale del mercato, abitata da individui senza luogo, senza Patria, senza colore, senza radici, senza idee per le quali sarebbero disposti a battersi. Oggi è quanto mai vero che senza sovranità (potenza) non ci può essere alcuna libertà.

Il genere di libertà che rivendicano i ragazzi dei centri sociali è ciò che di più lontano possa esserci dal mio bisogno di emancipazione. La loro libertà (solo ed esclusivamente individuale) è piuttosto, ai miei occhi, la cosa più conforme che possa esistere rispetto all’oppressione contemporanea. Libertà di girovagare per il mondo, di drogarsi, di divertirsi nei modi più strani e diversi: non sono forse gli stessi slogan sottesi al discorso contemporaneo propagandato a vantaggio di chi detiene (in modo vigliacco ed ipocrita) il potere?

Potere, Stato, confini, Patria, sono concetti e parole che mi hanno affascinato fin da subito. Idee nelle quali, secondo i ben pensanti come Augias, sono soltanto dei “fascisti” a riconoscersi. Ma c’è un problema: se per Augias divento automaticamente “fascista”, è altrettanto vero che, nel senso vero del termine, io non lo sono affatto, e al fascismo storico dico, oggi più che mai, un fascistissimo “me ne frego”.

Qualsiasi tipo di nostalgismo mi infastidisce profondamente. Non sopporto chi, privo di qualsiasi tipo di creatività ed immaginazione, indossa vestiti e si attacca spille di vario tipo simboleggianti esperienze politiche passate, morte, defunte e seppellite nella vergogna dalla storia. “Fascismo e nazionalsocialismo sono fenomeni storici e non più fatti politici attuali. Pertanto, ogni polemica fascista e antifascista è puerile, anacronistica ed inutile, anzi nociva per il futuro dell’Europa. […] La vita politica è ingombrata da portastendardi che non sanno decidersi ad abbandonare la scena”, notava Jean Thiriart nel 1964.

Tuttavia, sono convinto che diversi di quei giovani che oggi non esitano a definirsi come dei veri e propri fascisti (del secondo o del terzo millennio che sia), magari aderendo a qualche formazione di estrema destra, siano affezionati non tanto a ciò che quel movimento è stato storicamente, bensì a quello che esso rappresenta ai loro occhi “dall’esterno”.

Cosa può rappresentare Mussolini se non l’immagine di un politico, di un sovrano che “ci mette la faccia”, che si assume la responsabilità di guidare il proprio popolo e di difendere una particolare modalità di esistenza collettiva? Agli occhi di tanti giovani della mia generazione l’esperienza del fascismo costituisce l’incarnazione di valori come quelli di autorità, di ordine, di onore, di identità. Tutti concetti, declinabili in tante e diverse modalità, dei quali nella nostra società c’è una grande mancanza.

Ma, ci tengo a ribadirlo, con ciò non voglio affatto difendere quello che il fascismo è stato storicamente. Di esso, lo ripeto, “me ne frego” e in fondo se ne fregano anche buona parte dei giovani che ho appena citato. Ciò che conta e su cui le persone come Augias dovrebbero riflettere è quello che il fascismo può rappresentare ai nostri occhi. Questo dovrebbe, quantomeno, costringerli a riflettere sulle mancanze della società in cui noi siamo cresciuti e che loro hanno contribuito a creare.

A ben guardare, il mio bisogno e quello di tanti altri ragazzi appartenenti alla mia generazione, è quello di idee nuove. Per questo, nel mio caso, spesso e volentieri vado ad indagare il pensiero di grandi intellettuali che sono stati messi da parte soltanto perché accusati di essere questo o quello, di stare “dalla parte sbagliata”. E così scopro che, in realtà, questi grandi inascoltati (talvolta criminalizzati) della storia sono proprio coloro i quali hanno più cose da dirmi. Sono quelli che “mi capiscono” di più.

In questo modo finisco talvolta con il mischiare pensieri apparentemente inconciliabili, rischiando di scandalizzare quelli come Augias, che si stupisce di come i giovani “fascisti” contemporanei assumano fra i loro punti di riferimento un intellettuale come Gramsci. Lo scrittore si dimentica che quello di Gramsci non fu soltanto un pensiero della libertà, ma anche della volontà, e della lotta per il potere e per l’“egemonia”. Il filosofo e politico sardo conosceva molto bene quelle che sono le realtà della politica e della storia, e non a caso uno dei suoi autori di riferimento era proprio Niccolò Machiavelli.

Ma Augias insiste affermando che quella dell’attuale “fascismo” è una “moda sincretistica”, che fonde stupidamente e maliziosamente pensieri che non hanno nulla a che vedere fra di loro. Ovviamente, è ben lungi da lui porsi la domanda se, nel 2018, non stiano forse nascendo “nuove sintesi” ideali. Il nostro giornalista educato e ben pensante si inquieta, si indigna, accusa e condanna. Senza provare minimamente a riflettere e a capire.

Infine, sembra che io non possa concludere questa mia “spiegazione” (che forse è più una sorta di sfogo generazionale) con parole più adeguate che quelle pronunciate provocatoriamente da Carmelo Bene allo show di Maurizio Costanzo: “Crepi la democrazia. Crepi la Repubblica. Crepi il Presidente della Repubblica. […] Liberiamoci della libertà. Niente è così vincolante quanto la libertà. Sputate sulla libertà, e sui tribuni della libertà. Soprattutto”.

(di Lorenzo Disogra)

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