Fine marzo, “disimpegno dalla Siria”, 10 giorni dopo venti di guerra: è l’ennesima caduta di Trump

Le dichiarazioni di oltre una decina di giorni fa del presidente americano Donald Trump erano state chiare: “Andremo via dalla Siria molto presto, lasciamo che altri se ne occupino”.

Erano seguite vive contestazioni di molti, tra cui il Pentagono stesso, alle quali, nei giorni scorsi, sono seguite nuove accuse al regime di Assad di utilizzare armi chimiche contro gli onnipresenti “bambini” rilanciate dai disinformatori professionisti anche di casa nostra.

Oggi la situazione è “stranamente” ribaltata: gli USA minacciano di attaccare nuovamente Damasco, e la Russia, ovviamente, non ci sta.

Donald Trump scrive su Twitter: “La Russia si prepari, i nostri missili stanno arrivando, belli, nuovi e ‘intelligenti’!“. Mosca ribatte: “I missili li usino contro i terroristi”. E Putin schiera le navi, avvertendo una sicura risposta.

Dalla Casa Bianca traspare incertezza: ancora nulla è deciso, dicono. Lo conferma il segretario di Stato Mike Pompeo, mentre Theresa May invia i propri sottomarini a sostegno dell’eventuale attacco yankee.

Come sia possibile un cambio di registro così rapido è evidente quanto, ormai, banale: per l’ennesima volta si è dimostrato come la democrazia americana non sia altro che uno specchietto per le allodole, capace di proporre alternative tra candidati sistemici e nient’altro.

Trump non lo era, non lo è mai stato, e di questo siamo ormai consapevoli tutti. Ha lottato e si è dimenato, qualcosa ha ottenuto, ma in politica estera continua a dover tirare i remi in barca.

L’augurio è che chi governa davvero l’America rinsavisca rispetto alle volte – troppe – in cui, negli ultimi 15 anni, ha rischiato di far piombare il mondo intero in un conflitto globale.

(di Stelio Fergola)