Summit sulla Siria tra Putin, Erdogan e Rohani

Fuori da ogni retorica delle ‘Primavere Arabe’, la primavera climatica del 2018 coincide con una primavera geopolitica per quei poli alternativi all’Occidente statunitense. Complici l’andamento ormai più che positivo della guerra in Siria, che vede una costante erosione dei fronti della Jihad, e il summit del 4 aprile ad Ankara fra i principali attori che stanno agendo nel Medio Oriente in questo momento: la Russia di Vladimir Putin, l’Iran di Hassan Rohani e la Turchia di Recep Tayyp Erdogan, il quale porta a casa l’implicito merito di aver organizzato l’incontro.

Sul tavolo degli argomenti la Siria e, in generale, l’organizzazione geopolitica del Medio Oriente mediterraneo. Siamo lontani dalle frizioni generate dall’abbattimento del Sukhoi 24 russo nel 2015 e anzi siamo spettatori dell’acquisto, da parte di un Paese NATO quale è la Turchia, del sistema antimissilistico S-400 di Mosca e di un via libera all’operazione “Ramoscello d’Ulivo” nel Nord siriano e, chissà, iracheno. Si apre inoltre lo spazio aereo di Afrin ai bombardamenti del Sultano e vengono discussi gli oleodotti passanti per la Sublime Porta.

In cambio Putin ottiene la permanenza di Assad al governo e dunque, essendo suo alleato, la lecita possibilità di rimanere nell’area. Il risultato di quest’intesa è che all’Iran rimane aperta la possibilità di proseguire con la formazione e il consolidamento della Mezzaluna sciita tramite la tecnica più che rodata dell’installazione prima sociale e poi militare tramite Hezbollah e altri gruppi filo-sciiti di un sistema di influenza più o meno palese.

Il risultato peggiore lo porta a casa l’Occidente, il grande assente (o escluso?) che, con anche le ultime richieste del Pentagono riguardanti l’aumento di truppe statunitensi in Siria e le antitetiche dichiarazioni di Trump sul ritiro di queste, si ritrova ad essere geopoliticamente rallentato, sempre che Israele non tiri fuori qualche asso nella manica o la Turchia (ricordiamolo ancora, membro NATO) non cambi direzione.

Insomma, a causa di questa tettonica geopolitica che ha come punto caldo in questo momento Ankara, viene formandosi una catena formata da tre picchi: Putin, Erdogan e Rohani mentre invece sedimenta l’azione occidentale e la sua prospettiva operativa. Non pervenuti i curdi, prima utilizzati e poi abbandonati dagli Stati Uniti.

(di Alessandro Carocci)