Il programma di Casapound: perché UE ed Euro sono i primi nemici

Il programma politico di Casapound è veramente notevole. Uscita dall’Euro, ripristino della piena sovranità monetaria ed economica, nazionalizzazione delle banche e – soprattutto – ricostituzione di un’azione statale massiva ed energica sul modello della vecchia IRI sono ciò a cui dovrebbe puntare un Paese morto e sepolto come è l’Italia europizzata.

Non credo sia un’iperbole definirlo addirittura rivoluzionario, una serie di punti politici che rimettono in discussione tante, troppe inefficienze che globalizzazione e liberismo sfrenato hanno generato nella società italiana, alla sua economia e alla sua già debole politica.

Qualcuno (molti lo fanno già e lo faranno ancora in futuro) potrebbe osservare che tutto ciò, ad oggi, sia irrealizzabile. Avrebbe pienamente ragione. Ma qui si giunge al nocciolo del problema. Perché il programma di Casapound si può considerare impraticabile? Per una oggettiva limitazione delle azioni disponibili? Per una serie di costi insostenibili per lo Stato per i già noti problemi di bilancio?

Oppure, semplicemente, perché esistono due zavorre, ad oggi ancora intoccabili, che rendono tali ipotesi impossibili? Direi, decisamente, quest’ultima opzione. Maastricht e i suoi parametri, Bruxelles con le sue raccomandazioni e i suoi pareggi di bilancio ma, soprattutto, un debito pubblico che – ormai è chiaro – rimarrà impagabile anche rimanendo in avanzo primario per i prossimi 30 anni (l’Italia lo è già da 20).

Il che è drammatico se guardiamo al passato, a quegli anni Ottanta in cui l’Italia, pur non essendo certamente un paradiso terrestre (e non per chissà quali limiti insormontabili, ma perché di paradisi terrestri, in questo mondo, non ne esistono) era un Paese in cui la maggioranza delle attività economiche era statale, non disdegnando la libera iniziativa e la proprietà privata. Un Paese quinta (in certi momenti perfino quarta) potenza industriale del mondo.

Un Paese in cui certo, c’erano dei problemi (di natura inflattiva soprattutto) ma anche – per larghi tratti – la cosiddetta piena occupazione, un sistema pensionistico all’avanguardia, un reddito pro capite e un tenore di vita, mi si consenta, ben più alto dell’attuale e dei supposti vantaggi che il mondo globalizzato ci consentirebbe con i proverbiali voli aerei Roma – Londra da 30 euro.

Beh, il programma politico di Casapound si concentra sui due nemici principali che hanno impedito a questa solidità economica di perpetrarsi: Ue ed euro. E da essi parte, perché è palese che qualsiasi operazione di risanamento pubblico e sociale di questo Paese (tacendo sui danni spirituali, culturali, nazionali ormai radicati in seno alla stessa Repubblica) passi per l’abbattimento di questi due totem, senza il quale è impossibile pensare a qualsivoglia riforma.

Dunque, ormai prossimi al 4 marzo, ci avviciniamo all’atroce dilemma: votare Casapound può essere un’opzione, certo, ma dall’altro lato c’è da avere a che fare con un centrodestra ancora imprigionato dalla figura di Berlusconi, ovvero la stessa che, a parte qualche alzata di testa che gli è costata la poltrona nel 2011, propone  Mario Draghi premier, talvolta parla perfino di ius soli, cerca conciliazione con l’Europa, con la Merkel, e con i diktat di Bruxelles e del Partito Popolare Europeo.

Per ridimensionare il Cavaliere c’è la sola strada di votare i suoi alleati, nella speranza che Forza Italia possa andare parecchio al di sotto dei sondaggi che la vedono, a seconda dei momenti, tra il 14 e il 17%.

Da un lato c’è la possibilità di fare entrare in Parlamento l’unica forza realmente anti-europeista  (insieme al Partito Comunista  di Rizzo), dall’altro quella aumentare il peso dell’antieuropeismo in una coalizione che sembra già essersi sottomessa al volere di Bruxelles prima ancora di votare, anche a causa del peso specifico enorme che continua ad esercitare Berlusconi su di essa.

Ai lettori la scelta.

(di Stelio Fergola)