Le Ninfe dello scandalo: nuova censura del politicamente corretto

Figlio di Teiodamante re di Misia e della ninfa Menodice, il giovinetto Ila fu rapito da Eracle e lo imbarcò con sé nella spedizioni degli Argonauti alla ricerca del Vello d’oro. Approdati a Misia, Ila si fermò ad attingere acqua da una fonte, e non fece più ritorno: infatti Driopa e le sue sorelle, ninfe di Pege, si erano innamorate di Ila e l’avevano indotto a seguirle in una grotta sott’acqua. Seppur personaggio minore della mitologia greca, la breve storia di Ila è stata al centro di diversi dipinti nel corso dei secoli, in particolare nel romanticismo.

Uno di questi quadri, del pittore britannico John William Waterhouse (1849-1917), tardo esponente della corrente preraffaelita, è stato recentemente rimosso dalla Manchester Art Gallery su proposta della curatrice della galleria d’arte contemporanea. L’obiettivo, a detta sua, “non censurare, ma provocare il dibattito” e “sfidare la fantasia vittoriana” che vede “il corpo femminile come una forma di decorazione passiva, o che ricade nel cliché della femme fatale”.

Al posto del quadro, un cartello che recita “Il mondo è pieno di questioni intrecciate di genere, razza, sessualità e classe che riguardano tutti noi. Come possono le opere d’arte parlarci in modo più contemporaneo e rilevante? Quali altre storie potrebbero raccontare queste opere e i loro personaggi? Quali altri temi sarebbero interessanti da esplorare nella galleria?”.

A influenzare questa scelta, ha dichiarato sempre la curatrice, è stato il recente dibattito generato dalle campagne femministe “Time’s Up” e “#MeToo“. “Le ninfe che fanno il bagno e che rapiscono Ila, il bel giovanotto favorito di Eracle, possono anche essere viste come una fantasia erotica inadatta e offensiva per il pubblico moderno”.

Questo fatto, al di là che si tratti di una mossa pubblicitaria o di un’operazione artistica fine a sé stessa, non solo ha fortunatamente dimostrato che la stragrande maggioranza del pubblico reagisce con il giusto sdegno a qualsivoglia di censura moderna (i commenti raccolti dal museo sono stati quasi tutti negativi), ma costituisce un pericolo precedente dopo le già accennate censure di Schiele e Balthus.

Può un’istituzione, curatrice delle suddette opere, abdicare al proprio ruolo di corretta rappresentatrice e contestualizzatrice dell’arte (la quale è, intrinsecamente, collocata fuori dal tempo) per rincorrere la tendenza e rischiare di decontestualizzare un’opera in nome delle “nuove sensibilità”? Pare purtroppo che per un numero sempre maggiore di istituzioni la risposta sia sì.

(di Federico Bezzi)