Nell’epoca del finto femminismo nessuna pietà per Claretta Petacci

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La sola colpa di Claretta Petacci fu quella di amare Benito Mussolini. Fine. Quando venne appesa per i piedi a Piazzale Loreto aveva la camicietta insanguinata e infangata. Era priva di biancheria intima e la gonna strappata e inzuppata di sangue non lasciava tanto spazio a dubbi: fu vittima di una violenza carnale perpetratale ripetutamente da Martino Caserotti, uno dei membri del gruppo di fuoco coordinato da Aldo Lampredi che si rese protagonista degli omicidi a Dongo e Giulino di Mezzegra, quel 28 aprile 1945.

Le lupare bianche assassine non si accontentarono di fucilare due volte il Duce nel cortile della casa dei contadini De Maria, lo vollero umiliare, prima della macelleria messicana, come la descrisse Ferruccio Parri. Non le venne fatta alcuna autopsia, il “ludibrio completo” nei suoi confronti, come lo descrisse Luciano Garibaldi nel suo libro “La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?”, doveva restare all’oscuro. Le frasi minacciose e gli insulti rivolti da Walter Audisio, pure.

Oggi, che si difende oltremodo la donna e la sua dignità, non esiste pietà per questa giovane fanciulla, finita in un gioco di vendette più grande di lei. Le Laura Boldrini tacciono, soppiantate da Gene Gnocchi, che nell’ultima puntata di Di Martedì ha pensato bene di associarla a un maiale in un maldestro tentativo di satira politica su Giorgia Meloni. A lui non diciamo nulla, se ha dignità e un minimo di vergogna vada a villa Belmonte a chiedere scusa e portare un fiore. Ma è pretendere troppo, dai piccoli uomini.

(di Davide Pellegrino)

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