I disastri e le ambiguità del 9 novembre ’89 sulla società occidentale

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Il crollo del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 e la conseguente disgregazione degli Stati socialisti e l’archiviazione dell’URSS – con il toccante ammainabandiera dalla cima del Cremlino – hanno anche avuto, al di là della retorica, effetti disastrosi per l’Occidente. La contrapposizione ideologica, motore che ha alimentato lo scenario politico per tutto il ‘900 è finita. Oggi si è trasformata in uno squallido gioco di potere dove le idee e i valori sono diventati preconfezionati.

Destra e sinistra hanno entrambe intrapreso un percorso di accentramento e liberalizzazione, sempre pronto ancor oggi nei suoi rimasugli a definirsi antifascista, anticomunista, antirazzista, antisessista, antipopulista, ma mai anticapitalista. L’elettore, a differenza di un sistema partitocratico caratterizzato da visioni ben distinte, viene messo in confusione e portato a non sentirsi rappresentato da partito alcuno, perché in nome del liberismo globalista e del mantenimento del suo status quo si sono abbandonate, bollandole addirittura come “fasciste” o “antistoriche”, tematiche fondamentali quali la lotta di classe e l’internazionalismo che stanno alla base del diritto sociale. La sacralità della frontiera, concetto espresso nelle dottrine economiche di Karl Marx e Friedrich Engels, lascia il posto alla libera circolazione di merci e persone, andando a minare le tradizioni culturali di ogni singolo Paese e creando un vile meccanismo di dumping sociale ai danni dei lavoratori e delle loro dure e secolari lotte. Il potere delle multinazionali, aumentato considerevolmente, ha portato alla completa sottomissione della politica.

Nonostante gli accordi Gorbachev-Reagan del 1991, senza quel contrappeso che l’Unione Sovietica garantiva, la NATO, da alleanza con funzioni puramente difensive si trasforma in strumento di aggressione e, con i bombardamenti su Belgrado nel 1999 e la presenza in Kosovo a Camp Bondsteel, anticipa ciò che sarebbe successo fino a Euromaidan: determinare la leadership mondiale degli USA. 30 anni di politiche imperialiste camuffate da intenti umanitari. Il desiderio di una Russia vinta e sottomessa, come ai tempi di Boris Eltsin. La Cina e tutta l’Asia contenuti da una catena di circoscrizione. La Siria balcanizzata, lo step finale per l’appropriamento energetico e militare di tutto il Medio Oriente dopo le campagne terroristico-predatorie in Afghanistan ed Iraq. L’America Latina domata, tramite il boicottaggio del chavismo rivoluzionario in Venezuela, e restituita alla condizione di “cortile di casa” espressa nella dottrina Monroe. La deterrenza nucleare dell’Iran e della Corea del Nord stroncata dalle sanzioni.

Piani egemonici riusciti solo in parte, grazie al peso internazionale di uomini come Vladimir Putin e Xi Jinping e organizzazioni economiche emergenti quali i BRICS. L’illusione antistorica di quell’unipolarismo occidentale senza freni auspicato da autentici venditori di fumo si schianta con la realtà caratterizzata da un continuo rafforzamento di un mondo multipolare. E meno male, aggiungeremo noi.

(di Davide Pellegrino)

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