10 anni di PD, 10 anni di disastri

Dall’immediato dopoguerra al 17 marzo 1972, quando fu eletto segretario Enrico Berlinguer, il PCI era un partito prevalentemente comunista nella dottrina, nei programmi e nelle fonti di finanziamento. L’andamento, dopo il 1972, fu decisamente diverso. Lo abbiamo visto con il desiderio dei famosi “ombrelli NATO” a discapito del Patto di Varsavia, lo strappo di Armando Cossutta, il sostegno a Solidarnosc, in Polonia, in funzione anti-URSS e i tentativi di convincere la Democrazia Cristiana a sfiduciare l’unico esecutivo con parvenza sovranista, quello di Bettino Craxi, per rimettere in piedi quel compromesso storico degli anni ’70, la cui finalità erta quella di consegnare al Paese un partito pienamente ripulito da ogni ideale e fondamento marxista-leninista e pienamente adattabile al contesto democratico filo-atlantista.

Da queste operazioni, compresa anche la Svolta della Bolognina con il noto discorso di Achille Occhetto nel 1991, la sinistra non poteva che spostarsi verso il neo-liberismo. Il PD, da 10 anni a questa parte, ne è il più ferreo dei portabandiera. Il motivo esplicito di questa mutazione, della quale, con Matteo Renzi attuale segretario ed ex Premier, se ne sono avuti i massimi picchi, era la speranza di persuadere quella parte di elettorato delusa da Forza Italia senza perdere quello storico, nostalgico dei DS, dei Massimo D’Alema e, perché no, anche dei Giancarlo Pajetta.

Quello implicito, al contrario, era l’ormai sempre più crescente spostamento su logiche centriste, il cui obiettivo per la crescita economica è quello di foraggiare la classe imprenditoriale con la speranza che una maggiore ricchezza in mano alla borghesia, prima o poi, si riversi anche sulla classe operaia in base al fenomeno di “sgocciolamento”, sempre teorizzato dai neo-liberisti ma mai riscontratosi nei fatti. In base a questa strategia, ammorbidita da quell’etichetta di “sinistra” che in Italia sembra far perdonare ogni cosa, il PD ha isolato i sindacati abolendo l’articolo 18 e raddoppiando, di conseguenza, la ricchezza delle famiglie più benestanti a discapito di quelle meno.

Cosa ancora più grave, è che questa azione neo-liberista interna al Partito Democratico è avvenuta con la complicità di chi ha minacciato scissioni in banda larga, ossia i vari Pierluigi Bersani e Gianni Cuperlo che, con la loro tinta socialdemocratica, hanno fornito al partito una perdurante facciata integrata nelle logiche di quella sinistra liberale della quale Tony Blair fu alfiere alla fine degli anni ’90.

Ora, la disinvoltura nel fare con la mano sinistra ciò che avrebbe dovuto fare con la destra, i risultati fallimentari del Referendum del 4 dicembre 2016 e nella gestione del fenomeno migratorio, che ha contribuito a creare uno strappo enorme tra le zone residenziali e le periferie disagiate, ha creato un partito con più o meno il 20% dell’elettorato. Un gran risultato, se si pensa che per avere ambizioni di governo avrà bisogno di allearsi a quell’introvabile 30.

(di Davide Pellegrino)