Un presidente contro tutti: Trump secondo Gennaro Sangiuliano

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Mancava poco più di un anno alle elezioni che avrebbero sancito il successore di Barack Obama al soglio della Casa Bianca, quando un personaggio “rozzo, incolto, arrogante, sessista” ben noto alle cronache mondane annunciava, dalla lussuosa sala conferenze del palazzo che porta il suo nome, che si sarebbe candidato ufficialmente alla presidenza degli Stati Uniti. Nessuno, quel lontano 16 giugno 2015, poteva lontanamente immaginare che nel novembre dell’anno successivo quello stesso soggetto sarebbe davvero stato eletto Presidente.

Un presidente contro tutti: Trump secondo Gennaro Sangiuliano

Capitolo finale di una trilogia iniziata con “Putin, vita di uno zar” (Mondadori, 2015) e proseguita con “Hillary – vita in una dinasty americana” (Mondadori, 2016), il giornalista e vicedirettore del TG1 Gennaro Sangiuliano pubblica in queste settimane di ottobre “Trump – vita di un presidente contro tutti”, sempre per la casa editrice del gruppo Fininvest. Una biografia precisa e accurata che ripercorre gli intrecci di denaro e politica del più discusso presidente americano di sempre, quello che Michael Moore ha definito “il più grande vaffanculo della storia umana”: uno schiaffo mortale alle politiche mainstream e progressiste condotte nell’ultimo decennio. Un approfondimento, quello presentato in questo libro, che scava con accuratezza nel passato della dinastia Trump per sondarne le origini, i misteri e le cause di questo fenomeno spartiacque nella politica occidentale.

LA FORTUNA DEI TRUMP, TRA AFFARE E MALAFFARE

Le quasi trecento pagine del saggio di Sangiuliano vanno infatti alla ricerca del “Trump profondo”, non limitandosi a ricostruire i suoi settant’anni di esistenza ma le origini arcaiche di una famiglia nata nel piccolo villaggio tedesco di Kallstadt. Da questo paese della Renania, borgo di 1200 abitanti, il sedicenne Friedrick Trumpf (la “f” cadrà solo all’alba della Seconda Guerra Mondiale) partirà per emigrare negli Stati Uniti, dove raggiungerà la sorella Katherine. Il nonno del futuro Presidente degli Stati Uniti si mostrerà perfettamente in linea con quello “spirito del capitalismo” di weberiana concezione, fondando negli anni prolifiche attività di alloggio e ristorazione -con, pare, annesse attività di prostituzione: illegali ma tollerate- nei luoghi della “Corsa all’oro”.

Aspetto non irrilevante del successo della Elizabeth Trumpf & Son – la futura Trump Organization- condotta da Fred Trump Jr. (1905-1999) è il sottobosco politico-mafioso nel quale devono muoversi gli affari nella Grande Mela. All’alba della crisi del ’29 New York è saldamente in mano al Partito Democratico, “retto da una oligarchia che si riuniva in alcuni circoli, quasi sette segrete, che gestivano pezzi di territorio” e “capace di gestire mille clientele, che andavano dai più elementari bisogni, come un lavoro e una casa, fino alle grandi pianificazioni urbane, gli appalti e le cariche della magistratura”.

Grazie alla frequentazione di uno di questi circoli, il Madison Club, il padre di Donald Trump otterrà sempre le agevolazioni necessarie per i propri affari, culminando nel 1936 con l’enorme commessa di 450 alloggi popolari. Le “amicizie pericolose” di Fred Trump proseguono anche dopo l’amministrazione repubblicana di Fiorello La Guardia, il leggendario sindaco italo-americano di New York, tramite contatti stretti con il mafioso Willie Tomasello, legato alla famiglia Gambino.

L’ “INCREDIBILE CAVALCATA” DI DONALD TRUMP

Ragazzo ribelle e un po’ manesco, Donald Trump entra a soli tredici anni in una accademia militare, proseguendo gli studi in due diverse università e distinguendosi per una rigida dottrina personale. Scrive Sangiuliano: “Mentre la sua generazione sta tentando di cambiare il mondo [alla fine degli anni sessanta] lui spulcia le liste degli immobili pignorati alla ricerca di un vero affare. La storia avrebbe dato ragione al giovane Trump, perché quasi tutti i contestatori sarebbero poi diventati esponenti del futuro establishment e gli apostoli di quel sistema che, a parole, dicevano di voler cambiare”.

Trump, scrive Sangiuliano, “aveva annusato la politica da lungo tempo” grazie alla militanza democratica del padre e a diversi approdi di scarso successo sulla scena elettorale, tuttavia utili al fine di sondare il terreno. Nella corsa verso la nomination Trump sa scompaginare i cliché sul GOP “partito dei ricchi” attaccando i super manager della finanza, sa parlare con un linguaggio semplicistico e ripetitivo, liquida gli avversari con battute al vetriolo (come il famosissimo “Crooked Hillary”) e sa soprattutto spingere i suoi avversari a combatterlo sul suo stesso piano: i temi di immigrazione, lavoro, e difesa delle imprese locali.

Sangiuliano analizza con precisione quale ruolo abbiano avuto i media tradizionali nell’amplificare i suoi messaggi, e l’enorme macchina da guerra mossa da questi a favore di Hillary Clinton, la cui campagna elettorale ha visto gli endorsement dei maggiori miliardari americani e della élite mediatica di Hollywood. Sangiuliano, nella sua analisi, non risparmia critiche a quello che finora è stato l’operato del presidente: “Per ora Trump ha portato a casa pochi risultati”, tanto nella fallita abolizione della Obamacare quanto nei rapporti ondivaghi con la Russia -a proposito del presunto Russiagate, c’è un capitolo di venti pagine piuttosto esauriente- e soprattutto nelle continue contraddizioni del suo stesso operato.

“Trump, come un monarca, oscilla tra le pressioni dell’ala populista […] e quelle della parte più morbida, pragmatica, newyorkese”. Sullo sfondo, un’America sempre più divisa dalle ineguaglianze sociali, sempre più incerta della propria egemonia economico-militare e un mondo che, dopo una illusoria “fine della storia”, sta ferocemente ritornando verso una dimensione multipolare. Di certo vi è che finora la sua vittoria ha significato “la vittoria della rivoluzione silenziosa, della ritrovata consapevolezza della necessità di non dover lasciare il proprio destino nelle mani di élite che si dichiarano di sinistra ma sono in realtà violente e classiste”.

Non è dunque una agiografia del Trump miliardario che spadroneggia a “The Apprentice”, ma una profonda analisi del mutamento dello spirito delle masse e del sempre più preteso ritorno a una sovranità -e identità- percepita come perduta, della quale Donald Trump, nel bene o nel male, è stato abile a mostrarsi paladino. Perché, come ben recita la quarta di copertina, “Trump potrebbe rivelarsi la risposta sbagliata a problemi reali e a rivendicazioni fondate. Demonizzarlo non serve”.

(di Federico Bezzi)

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