L’attualità di Ernesto “Che” Guevara, a cinquant’anni dalla scomparsa

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In questa sede non è assolutamente nostra intenzione dipingere la storia del personaggio di Ernesto “Che” Guevara. Librerie, biblioteche e centri culturali assolvono a dovere questo compito, essendo pieni zeppi di biografie, testimonianze e saggi storici nei quali immergersi a capofitto per sapere anche il minimo particolare circa le opere di questo medico argentino, nato da una famiglia piccolo-borghese, che dedicò tutta la sua esistenza in favore dei popoli liberi.

Considerando lo scenario geopolitico attuale, il cinquantesimo anniversario appare quanto mai vicinissimo ai nostri tempi. Il perché è molto semplice: i valori anti-imperialisti dietro le sue battaglie sono ancora pienamente attuabili in questo contesto unipolare dove, mediante “rivoluzioni colorate” e vere e proprie aggressioni militari -precedute dalle consuete retoriche dirittoumaniste a mezzo stampa- si è cercato, dalla fine del mondo bipolare in poi, di correggere quei Paesi restii ad uniformarsi al verbo del globalismo.

Avranno luogo migliaia di manifestazioni per la sua commemorazione, specialmente nella “sua” Cuba e nel Venezuela chavista, oggetto, negli ultimi tempi, del boicottaggio di Washington come nella migliore prassi della vecchia dottrina Monroe. Si pubblicheranno nuovi testi con qualche nuova speculazione senza capo né coda, giusto per saziare la bile di qualche destroterminale. E poi, puntuali, non mancheranno i soliti omaggi ridicoli da parte di centri sociali, no-borders e altra guardia plebea del capitalismo borghese, ignorando che i muri, i confini e la loro sacralità -concetti da loro tanto odiati- erano reputati dal “Che” di vitale importanza nell’ottica delle logiche della Guerra Fredda.

Tuttavia, non sta a noi giudicare più di tanto chi farà cosa. Oggi è il giorno dove la giusta nostalgia di quest’uomo deve farci riscoprire i suoi insegnamenti, incentrati sul coraggio di vivere e la voglia di lottare. Ovvio, non mediante spedizioni avventuristiche con l’AK-47 in mano nelle selve boliviane oppure nella Baia dei Porci, ma mutando il nostro atteggiamento passivo quando si sentirà parlare di nuove “armi di distruzione di massa” come pretesto per distruggere Paesi sovrani e soddisfare determinate logiche geopolitiche.

(Di Davide Pellegrino)

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