Stone e Putin, dialogo schietto in TV

Giovedi 5  ottobre, su RaiTre, è andata in onda la prima parte dell’intervista del premio Oscar Oliver Stone al presidente russo Vladimir Putin. Il colloquio è in realtà suddiviso in diversi incontri avvenuti tra il 2015 e il 2017 nelle sale del Cremlino e nella residenza presidenziale russa appena fuori Mosca.

Come preannunciato dallo stesso Stone all’inizio del primo incontro, il faccia a faccia è stato il più naturale possibile e senza regole formali; nessuna restrizione alle domande come alle risposte, in un totale clima di schiettezza. D’altronde lo stesso Stone non è nuovo a questo tipo di interviste, avendo in passato intervistato il leader cubano Fidel Castro ed il presidente venezuelano Hugo Chavez.

L’intervista si svolge in un clima di cordialità dal quale viene fuori anche parte del lato più “umano” di Putin, sopratutto all’inizio, quando si affrontano le sue povere origini, del padre combattente sovietico durante l’assedio di Leningrado, della perdita dei fratelli maggiori nella seconda guerra mondiale e della sua adolescenza tra la libertà, il judo e gli studi che nel sistema sovietico di allora lo portano a lavorare per l’organismo di stato di intelligence, il KGB.

Gli argomenti trattati spaziano in maniera ampia dalla politica interna a quella estera, ai rapporti con lo staff , all’organizzazione dell’agenda presidenziale e al rapporto con la famiglia (Putin ha due figlie sposate e dei nipoti). Prevedibilmente gli argomenti trattati con più dettaglio e più tempo sono quelli dei rapporti tra la Russia, gli Stati Uniti e la Nato.

Il presidente ripercorre la sua ascesa politica a capo di stato della Russia a seguito della nomina a primo ministro inaspettata da parte del presidente di allora Boris Eltsin, del suo iniziale rifiuto e del fatto di essersi trovato a capo del Cremlino dopo le dimissioni dello stesso nel gennaio del 2000.

Dalle parole di Putin si capisce come il comportamento di certi Stati, da lui sempre chiamati partner occidentali, sia stato ambiguo nei riguardi della Russia, nonostante la Mosca post sovietica abbia condiviso con gli Stati Uniti molti dei suoi dati militari, anche di genere nucleare, a dimostrazione della volontà di collaborare in una nuova era di distensione e collaborazione.

Erano anni tragici per la Russia: il rublo era praticamente carta straccia e la situazione drammatica aveva portato a scontri interni con le repubbliche caucasiche delle Federazione, sopratutto nella repubblica autonoma di Cecenia, dove scoppiò una guerra durata anni, tra fazioni autoctone filo russe e separatisti islamisti terroristi.

I drammi delle guerre cecene si intersecarono con l’11 settembre 2001 americano. Dalle parole di Putin si può capire in cosa consista l’ambiguità americana: mentre da una parte la Russia dava aiuto proprio agli statunitensi con la base logistica in Caucaso, che attaccavano e invadevano l’Afganistan nella “lotta al terrore” del presidente George Bush, dall’altra gli yankee stessi sopportavano e finanziavano i terroristi ceceni contro il governo di Mosca.

La conferma all’insistente ambiguità americana avviene quando agli inizi degli anni 2000 l’America si ritira unilateralmente dal trattato ABM sui misti balistici, atto a frenare la proliferazione nucleare, siglato da Nixon e Breznev nel 1972, con la motivazione di aver superato la “guerra fredda ” e di non avere nella Russia più un nemico, ma allo stesso tempo di aver dice Putin, iniziato un allargamento della NATO verso est, inglobando nel trattato atlantico tutte le repubbliche est europee del trattato di Varsavia, installando un sistema missilistico a piattaforma variabile con testate nucleari a ridosso del confine russo, con la scusa di prevenire l’escalation militare e la minaccia nucleare dell’Iran.

È chiaro, dice Putin, “che a questa manovra la Russia ha dovuto indipendentemente rispondere con lo sviluppo di contromisure e sistemi missilistici di difesa e attacco” aggiungendo poi: “Che necessità c’era di allargare la NATO verso est?” Perché installare delle piattaforme missilistiche a ridosso dei confini russi quando a detta degli USA è l’Iran la loro minaccia?”.

I diplomatici americani, afferma Putin, “erano nervosi quando chiesi al presidente Clinton se avrebbe accettato un’entrata della Russia nella NATO, sopratutto alla sua risposta timidamente positiva”.

Da questi passaggi emerge l’inaffidabilità e ambiguità degli USA in materia di relazioni estere, militari e di lotta al terrorismo, oltre alla chiara volontà da parte di Washington di rompere l’equilibrio militare e nucleare con Mosca, affermando la propria egemonia attraverso stati definiti da Putin “vassalli” e non alleati.

L’intervista si sposta poi anche su temi interni: il rapporto con gli oligarchi russi e le tematiche sui gay sono un punto focale. “La nostra politica è stata di contenimento” assicura poi Putin sulla politica economica,  “non volevamo annientare le attività dei miliardari russi, ma stabilire delle regole e ripristinare la proprietà statale della maggioranza delle quote nei settori strategici”. Questo per arginare lo strapotere di entità private ed avere un controllo più forte su certi settori a vantaggio della crescita di ricchezza distribuita popolare.

Interessante e significativo il passaggio dove il presidente russo spiega la forma multietnica e multi religiosa su cui la Russia è fondata da mille anni: le diverse etnie e gruppi religiosi hanno una sola casa che è la Madre Russia, a differenza delle minoranze occidentali che hanno la scelta di ritornare nei loro paesi di origine.

Le minoranze russe sono parte integrante perché la Russia è la loro legittima casa, vivono per il bene comune del paese e non sono intenti a creare disunione o tensioni sociali. Una chiara risposta a chi accusa la Russia di essere un paese intollerante verso i musulmani e gli ebrei, verso le etnie asiatiche e anche verso quelli immigrati che hanno scelto il grande paese come loro casa.

Non si poteva non parlare di Obama. Avvenimenti come il caso Snowden, ex agente della CIA, disertore e divulgatore di notizie riguardo le attività di spionaggio del governo USA ai danni dei propri cittadini, che per una serie di eventi si è trovato rifugiato politico in Russia, creando inevitabili tensioni tra Mosca e Washington.

Dell’escalation in Ucraina con le rivoluzioni arancioni, il colpo di stato e il supporto americano ai golpisti di Kiev che ha creato un sentimento nazionalista e anti russo tra i cittadini con la volontà di trascinare un importante paese ex sovietico verso la sfera di Washington in funzione anti russa.

Si parla anche dell’isterica retorica della candidata democratica Hillary Clinton, e di quando paragonò Putin a Hiltler. Secco e perentorio il commento: “potremmo dire lo stesso noi, ma la nostra cultura politica è di un altro livello“.

Vengono fuori  due aspetti principali di Vladimir Vladimirovic Putin; il primo umano, molto “russo” e composto, ma ironico che traspare un un velo di tenerezza e gioia quando parla di famiglia, sport e dell‘immancabile judo, disciplina marziale che pratica da quando era ragazzino, la quale a detta di Putin ” mi ha insegnato la flessibilità”.

Il secondo decisamente da statista, da capo di stato autorevole e autoritario quando serve, da persona lungimirante con una forte personalità che suscita ammirazione anche fuori dai confini nazionali russi. Mai scomposto o nervoso anche su tematiche calde, dove certamente Stone non è stato accomodante, ma sempre lucido e diretto.

Privo di quella fastidiosa retorica che invece alberga stupidamente nei discorsi dei governi occidentali, sopratutto in quello statunitense. Un uomo che ama il suo Paese, lontano da essere definito o da definirsi un santo, certamente “amico di nessuno, ma un collaboratore dei miei partner stranieri, sono il presidente dell Federazione Russa e il mio lavoro è di farne gli interessi”.

Un leader che potrebbe, in uno schema mondiale che si sta delineando sempre più in maniera multipolare, essere un sincero alleato dell’Occidente nelle sfide al terrorismo internazionale, la povertà e i conflitti sociali. Purtroppo viene ancora dipinto come l’eterno nemico da combattere, anche attraverso i più sleali mezzi propagandistici impregnati di retorica e demagogia ” democratica”.

Aspettiamo con curiosità la seconda parte dell’intervista, nel frattempo i miei e, da parte di tutta redazione, più calorosi auguri di Buon Compleanno al presidente Vladimir Putin per i suoi 65 anni.

(di Simone Nasazzi)