La crisi in Venezuela conseguenza della guerra del petrolio

L’abbassamento dei prezzi del petrolio è il fattore più significativo [della crisi venezuelana]. La connessione fra tale abbassamento dei prezzi e i problemi economici dell’America Latina non è fra le più facili da individuare. L’indebolimento finanziario del Venezuela è un effetto collaterale della politica saudita che prevede un deliberato abbattimento dei prezzi del petrolio per scopi politici.  Il prezzo del petrolio, come avviene per ogni bene di consumo, è regolato attraverso il sistema di domanda e offerta. Nel momento in cui vi è un surplus di petrolio o una riduzione nelle richieste, il prezzo cala.

Tra il 2008 e il 2014 la domanda e l’offerta sono rimaste costanti, intorno agli 80 milioni di barili al giorno. In seguito vi è stata un’impennata nella produzione, che ha raggiunto un picco di 97 milioni di barili verso la fine del 2015; tale aumento non è stato però accompagnato da cambiamenti significativi nella domanda. Ciò ha quindi causato un netto e continuo abbassamento dei prezzi.

L’impennata è stata causata in parte dalla produzione americana di petrolio di scisto, ottenuto tramite fratturazione idraulica, ma è principalmente il risultato dell’estrazione scientemente programmata di enormi quantità di petrolio da parte dei sauditi per ragioni geopolitiche ben precise. Unico paese produttore di petrolio con riserve tali da potersi permettere di regolare il mercato in questa maniera, l’Arabia Saudita è lo “swing producer”, o entità economica che opera in regime di oligopolio. La produzione statunitense di petrolio di scisto ha in parte ridotto l’egemonia saudita, ma la petromonarchia ha ancora la capacità di estrarre più petrolio di quanto non ne venga estratto al momento e quindi di esercitare un’enorme influenza sui mercati.

America e Iran

Sembra che i sauditi stiano al momento tentando di realizzare due obiettivi. Il primo obiettivo è indebolire la produzione statunitense di petrolio di scisto e consolidare la posizione egemonica del Golfo nella produzione petrolifera globale. La produzione di petrolio attraverso la fratturazione idraulica è estremamente costosa (circa 60 dollari al barile), mentre l’estrazione naturale corrisponde appena a circa 7 dollari al barile. L’Arabia Saudita spera che la drastica riduzione dei prezzi renda la produzione di petrolio di scisto poco conveniente ai ritmi mantenuti al momento.

Il secondo obiettivo è la distruzione dell’economia iraniana, il principale rivale della monarchia saudita in Medio Oriente. Questo limiterebbe enormemente le possibilità di Teheran di aiutare e finanziare il governo siriano e le milizie sciite in Iraq, Yemen e altrove.  Il mercato petrolifero è sempre stato il cuore del conflitto tra iraniani e sauditi per l’egemonia nella regione.

Nel 1977, mentre l’Iran pianificava la costruzione di nuove centrali nucleari e progettava un’espansione di influenza attraverso tutto il Medio Oriente, i sauditi invasero i mercati, espandendo la produzione da 8 milioni a quasi 12 milioni di barili al giorno, facendo precipitare vertiginosamente i prezzi del petrolio. L’Iran vide i miliardi di dollari previsti in guadagni svanire nel nulla, e lo Shah fu costretto ad abbandonare i piani di investimenti nel nucleare. L’industria manifatturiera collassò, l’inflazione salì alle stelle, vi fu un aumento esponenziale della disoccupazione, e in breve tempo la crisi economica disgregò tutto il sostegno popolare alla monarchia. Il resto è storia: il regime crollò nel giro di due anni e venne sostituito dalla Repubblica Islamica dell’Ayatollah Khomeini.

Un’alleanza petrolifera

Pare che, in seguito ad alcuni tentennamenti e discussioni nei primi mesi del 2014, l’Arabia Saudita abbia concertato la guerra economica attraverso i prezzi del petrolio in coppia con lo storico alleato statunitense. L’America ha sostenuto la strategia per indebolire l’influenza della Russia, economicamente dipendente dal petrolio, un obiettivo strategico evidentemente ritenuto di un’importanza maggiore rispetto al rafforzamento del proprio sistema di fratturazione idraulica; l’accesso a petrolio importato a basso prezzo è invece un fattore positivo per i consumatori statunitensi e per l’industria in generale. Vi è quindi un’innegabile convergenza di interessi tra le posizioni saudite e quelle statunitensi.

In realtà, la strategia di abbassamento dei prezzi del petrolio non ha avuto ripercussioni devastanti sull’economia iraniana e su quella russa. Le nazioni su cui si sono abbattute le conseguenze di tale politica economica sono in America Latina e in Africa, dove petrostati come la Libia, la Nigeria e l’Angola stanno attraversando una pesante crisi. Il paese che più di ogni altro subisce i contraccolpi della situazione è il Venezuela, dal momento che il petrolio costituisce il 96% delle esportazioni e il 40% delle entrate governative.

Non è chiaro se la strategia saudita dei prezzi del petrolio riuscirà o meno a realizzare l’obiettivo principale di pregiudicare l’influenza russa e iraniana. Ma un elemento appare evidente: le fluttuazioni del mercato petrolifero globale avranno ripercussioni distruttive sulle nazioni più piccole che continueranno a essere loro malgrado coinvolte nelle tensioni tra le superpotenze.

(The Independent – Traduzione di Maria Teresa Marino)