Le bugie di Roberto Saviano sulla Siria

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C’è chi, come Roberto Saviano, proprio non ce la fa a non parlare delle cose che non conosce. Dopo aver completamente ignorato la notizia del giorno – il sequestro della nave Iuventa, dell’ong Jugend Rettet – lo scrittore-tuttologo si è avventurato in improbabili lezioni di geopolitica e storia contemporanea del Medio Oriente sulla sua pagina Facebook.

Scopriamo che secondo Saviano, infatti, «la primavera araba siriana contro il regime di Assad del 2010 era laica e democratica» e che «Al-Nusra è stata fondata successivamente, nel 2012, e non è collegata ai ragazzi e alle ragazze che chiedevano la fine del regime di Assad e l’avvento della democrazia in Siria».

Oltre alla solita, imbarazzante, retorica e superficialità di queste affermazioni – «i ragazzi e le ragazze?» – registriamo le solite menzogne e bugie dello scrittore contro il governo di Damasco.

Le bugie di Roberto Saviano sulla Siria

Innanzitutto, l’insurrezione in Siria è datata marzo 2011 e non 2010 come erroneamente scrive Roberto Saviano. Come sottolinea il prof. Massimo Campanini nel suo saggio Storia del Medio Oriente Contemporaneo (il Mulino), infatti, quella siriana del 2011 «era un’insurrezione vasta e ramificata, ispirata dalle analoghe sollevazioni avvenute nei mesi precedenti in Tunisia ed Egitto e iniziata nella città meridionale di Dara’a».

Secondo aspetto, è del tutto fuorviante e sbagliato asserire che la rivolta era «laica e democratica». Come hanno ampiamente dimostrato numerose inchieste indipendente e, non ultimo, il lavoro certosino del professor Tim Anderson nel suo La Sporca Guerra Contro la Siria (Zambon), l’infiltrazione jihadista nelle proteste siriane era nota sin dall’inizio.

Alla fine del febbraio 2011 «vi furono manifestazioni contro il governo e a favore del governo, ed emerse un genuino movimento di riforma politica che da anni manifestava contro la corruzione e il monopolio del Partito Ba’ath». Tuttavia, quelle proteste pacifiche e perfettamente comprensibili, sfociarono quasi immediatamente nella violenza da parte dei Fratelli Musulmani e di altri gruppi salafiti e radicali – che approfondiremo nei capitoli seguenti. Da Dara’a, l’insurrezione islamista dilagò in tutto il Paese.

L’esercito siriano veniva accusato di sparare sui manifestanti ma questa versione è stata smentita da numerosi testimoni e filmati. Cecchini appostati appostati sui tetti avevano il compito di sparare sulla folla – soldati compresi.

«Ho visto fin dall’inizio dimostranti armati in quelle manifestazioni. Hanno aperto il fuoco per primi contro la polizia. Molto spesso la violenza delle forze di sicurezza avviene in risposta alla brutale violenza degli insorti armati» – affermava lo scomparso padre Frans Van der Lugt nel gennaio 2012. «I terroristi si sono infiltrati nel movimento di protesta civile – sottolineava il prof. Prof Michel Chossudovsky in un articolo pubblicato su GlobalResearch – A Dama, alla fine di luglio, sono stati incendiati il Palazzo della Giustizia e la Banca.

Questa è una rivolta contro lo stato secolarista. Il suo fine ultimo è la destabilizzazione politica. Uomini armati sono coinvolti in atti terroristici contro l’esercito siriano e i civili. Quelli che sostengono il governo sono oggetto di minacce e intimidazioni. A Karak, un villaggio vicino a Dara’a, i salafiti costrinsero gli abitanti a partecipare alle proteste anti-governative e a rimuovere le foto del presidente Assad dalle loro case. I testimoni hanno raccontato che un giovane musulmano che si è rifiutato di obbedire è stato trovato impiccato nella sua veranda la mattina seguente».

La verità è che buona parte della popolazione, anche chi non appoggiava il governo, voleva delle riforme, non la distruzione dello stato laico o, peggior ancora, l’instaurazione di un califfato.

Lo ha ammesso persino il cantante simbolo della «rivoluzione» in una recente intervista rilascia a GQ. Il suo nome è Abdul Rahman Farhood e divenne famoso nel 2011 con il nome di Ibrahim Qashoush nei giorni delle prime proteste contro il governo Assad grazie alla canzone «Yalla Erhal Ya Bashar», diventata un vero e proprio inno delle protste anti-governative.

Per alcuni anni i media occidentali, basandosi sulla versione dei ribelli e di Al Jaazera, raccontarono che Farhood fosse stato «brutalmente sgozzato e buttato nel fiume dagli uomini di Assad». In quell’intervista lo stesso cantante, non certo un simpatizzante del regime, ammise che «la protesta non-violenta degli inizi era stata sostituita da quella degli affiliati di al Qaida e da Jabhat al-Nusra».

(di Roberto Vivaldelli)

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