Immigrazione, finalmente chiarezza: i dati dell’ISPI sfatano la solita retorica

Il tema immigrazione in Italia è sempre stato soggetto a strumentalizzazioni. Molto spesso i dibattiti e le discussioni a riguardo sono alimentati dall’accessibilità di una quantità di informazione ipertrofica, consistente in dati molto spesso veritieri ma parziali, pertanto facilmente manipolabili e poco intellegibili per il fruitore medio, il più delle volte privo degli strumenti necessari per interpretare delle statistiche.

Si pensi a quanto frequentemente l’abuso di queste mezze verità si possa riscontrare in relazione ad argomenti come il rapporto tra criminalità ed immigrazione. Spesso infatti si leggono percentuali messe a caso per dimostrare, ad esempio, che gli stranieri nelle carceri siano decisamente inferiori agli italiani e che quindi i flussi migratori non influiscano più di tanto sulla situazione carceraria italiana.

Effettivamente se prendiamo le statistiche dell’Istat i detenuti stranieri sono pari al 34,9% della popolazione carceraria contro il 64% di detenuti “nati in Italia”. Ad un lettore disattento una notizia del genere potrebbe far supporre ciò che è stato detto precedentemente: gli stranieri in carcere sono una netta minoranza.

Tuttavia, se andiamo ad analizzare le statistiche nel complesso ci risulta ovvio che essendo gli stranieri in Italia “solamente” 5 milioni (tra quelli censiti) su 60 milioni di abitanti, il 34,9% di stranieri in carcere è una cifra molto alta. In proporzione, quindi, ci sono più stranieri che italiani nelle carceri. Ciò dimostra quanto sia semplice manipolare la realtà dei fatti, come scriveva Ray Bradbury, semplicemente riempiendo i lettori di “dati non combustibili” e “imbottendoli di fatti al punto che non si possano più muovere tanto sono pieni, ma sicuri d’essere veramente ben informati”.

Fortunatamente, in questo mare di faziosità, vengono talvolta pubblicati articoli precisi e ben fatti. È il caso di uno degli ultimi contributi dell’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, in cui si tratta proprio della questione migranti tentando di dare dei dati più completi. Leggendo questo rapporto, uno dei principali luoghi comuni che viene sfatato è quello secondo cui in Italia arrivino quasi esclusivamente persone che scappano da guerre o carestie.

Nel 2016, secondo le statistiche, è stato calcolato che per ogni 100 persone arrivate in Italia, almeno 85 fossero migranti giunti per ragioni economiche mentre lo status di rifugiato sarebbe attribuibile solo al 2% di essi.

Viene invece confermato il dato secondo cui le strutture di accoglienza in Italia siano ormai sature e il fatto che, a livello europeo, i ricollocamenti per ogni paese membro non funzionano. Viene così meno il presupposto alla base dell’idea dello Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, in quanto l’irrinunciabile precondizione sulla quale i Trattati europei hanno fondato le libertà interne di circolazione è il controllo sulla frontiera esterna.

Si pone inoltre il problema se si possa vietare o meno l’ingresso dei migranti in Italia. L’articolo fa notare come l’Italia potrebbe benissimo agire affinché non sia considerata “di default” l’unico luogo nel Mediterraneo in cui debbano sbarcare i migranti salvati in mare. Viene quindi sottolineato come questa mancata volontà da parte italiana di sottrarsi a questo ruolo di unico approdo per i flussi migratori sia determinata da cause politiche.

Per quanto riguarda invece i costi dell’accoglienza viene sottolineato come nel solo 2016 l’Italia abbia speso una cifra intorno ai 3,6 miliardi di euro per soccorso in mare e per il mantenimento, cifra destinata a salire nel 2017. Viene sfatato anche il mito secondo cui l’Unione Europea si accollerebbe gran parte delle spese. Le risorse stanziate dalla UE ammontano infatti a 750 milioni, quindi una copertura inferiore al 20% dei costi.

Tuttavia non tutti i costi vengono inclusi nel calcolo. Tra gli altri, nel lungo periodo, non sono conteggiati i servizi sanitari di cui usufruiscono tutti gli stranieri che non lavorano o che lavorano in nero e che quindi difficilmente contribuiranno a coprire con le proprie tasse.

L’articolo affronta infine con cautela due tematiche particolarmente calde: il rapporto tra terrorismo e immigrazione clandestina e l’ipotetica sostituzione di lavoratori italiani con lavoratori stranieri. I dati riportati dimostrano che tra i 65 terroristi che hanno colpito l’Europa negli ultimi anni, il 73% era cittadino del paese in cui è avvenuto l’attentato. Si può leggere però come lo stesso articolo riporti che i terroristi, pur essendo cittadini europei, siano figli di immigrati giunti nel nostro continente durante i precedenti flussi migratori, a dimostrazione che la fantomatica integrazione di cui spesso si parla non ha portato ai risultati sperati.

Anzi, sembra proprio il contrario. Si è infatti giunti ad un integralismo sempre più esasperato proprio tra coloro che avrebbero dovuto assorbire in quantità maggiore i valori europei.

Per quanto riguarda il lavoro, secondo il rapporto non è provato che gli immigrati abbassino realmente il costo del lavoro e che si sostituiscano ai cittadini italiani anche se “un improvviso ingresso di persone nel mercato del lavoro può avere effetti negativi sulla capacità di conservare il proprio posto da parte di lavoratori poco qualificati che abbiano operato in un solo settore per decenni, soprattutto in situazioni di alta concentrazione locale di migranti”.

In un panorama in cui si vive di frasi fatte e manipolazioni giornalistiche, talvolta, il tentativo di riportare dati oggettivi cercando di motivarli è l’unica opzione per cercare di informare il lettore senza scadere nel solito scontro tra chi è a priori favorevole o contrario ad un fenomeno tanto complesso come quello dei flussi migratori.

(di Marco Montanari)