Ius soli, “non più cittadini per diritto, ma per merito”

La cittadinanza non è solo un diritto: è anche un dovere. Bisognerebbe ripartire da questo assunto semplice semplice, per sceverare qualcosa di sensato dall’isteria di massa scatenatasi sulla proposta di legge dello “ius soli”. E’ tipico della mentalità tardo-moderna, infantile e “materna”, il considerare un attributo giuridico e politico soltanto come un dato che si riceve, passivamente, e non che si merita, attivamente. Una distorsione figlia di quella proliferazione di diritti di matrice ultraliberale (di cui era campione, per esempio, il compagno Rodotà, che non ci mancherà), che nient’altro è che l’altra faccia del consumismo: il mercato attraverso la Tecnica genera bisogni, la società li trasforma in desideri, lo Stato li legittima e li sigilla.

Il buon Aristotele l’ha detto: cittadino è chi partecipa alle magistrature. Gaber l’ha cantato: libertà è partecipazione. Una democrazia che tenga fede al suo nome indica il popolo che si autogoverna, e perciò che agisce per governare se stesso e la cosa pubblica. Un cittadino che non fa il cittadino, non è un cittadino. Questo non vale solo per chi chiede la cittadinanza: dovrebbe valere anzitutto per chi ce l’ha già. Chi è contrario allo ius soli, questo ha da metterselo bene nella capoccia, prima di parlare per conto dello straniero che gli bussa alla porta.

Non più cittadini per diritto, ma per merito: riconquistare la dignità di appartenenti alla res publica passa per una riformulazione che, allora, ne rivedrebbe lo status non come un dato acquisito una volta per sempre, ma una conquista che si potrebbe anche perdere. Da ottenere in maniera progressiva, con la responsabilità di doverne confermare nel tempo la validità coi fatti. A chi si fa valere per la comunità, più diritti. A chi fa meno, meno, ad esempio legando l’elettorato attivo e passivo al dovere di occuparsi del bene comune. Non combini niente di utile per il tuo quartiere, la tua città, il tuo Stato? Non ti dai a nessun impegno, politico civico o sociale? Ti fai solo gli affari tuoi?

Spiacente, non puoi essere eletto. Non vai a votare ai referendum, che dovrebbero diventare l’esercizio fondamentale – benché non unico – della cittadinanza? Non puoi più eleggere i rappresentanti. E’ lo ius loci di romana memoria: il diritto-dovere di prendersi cura del luogo in cui vive, dei tuoi vicini, dei tuoi concittadini. Di quelli come te, e quindi, in ultima analisi, anche di te. Reintrodurre il rischio della perdita di cittadinanza ri-responsabilizzerebbe l’individuo mediamente menefreghista, che si pone come un semplice consumatore di diritti ed evasore di doveri.

Si deve ammettere che nella attuale legge in discussione questo concetto è adombrato, anche se appena appena, in quella sua parte denominata “jus culturae”, laddove potranno far richiesta di cittadinanza italiana i minori nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni, e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie).

Per le meno, in questo caso, si deve aver fatto, cioè imparato, qualcosa.  Ma è troppo poco. Lo è anche aver “temperato” lo jus soli puro condizionandolo al fatto che il minore nato qui abbia almeno un genitore residente legalmente nel nostro Paese da almeno cinque anni. Ma poco perché, a monte della questione degli immigrati, è insufficiente e inadeguata la concezione e pratica della cittadinanza tout court. Anche per noi italiani.

Prima di tutto per noi italiani. Si potrebbe pure assentire allo ius soli, ma solo se padre e madre stranieri avessero dimostrato di meritarsela esattamente come coloro che cittadini sono già. Con l’unica differenza, naturalmente, che bisognerebbe prevedere un percorso d’ingresso, in cui pretendere che gli aspiranti neo-cittadini facciano tutta una serie di possibili attività civili e sociali: istituire, ad esempio, una sorta di servizio civile per immigrati, che oltre a lavorare dovrebbero elargire tempo alla collettività.

Un cittadinanza come servizio – hic sunt leones – da estendere a tutti. Così la diatriba ius sanguinis/ius soli non avrebbe più ragione di esistere. E si tornerebbe a comprendere il significato vero e profondo della civitas: ciò che è comune, a cui va sacrificato un po’ del mio (del mio tempo, della mia vita) per il bene di tutti. Comunitarismo versus liberalismo.

(di Alessio Mannino)