Scompare, oggi, una delle più grandi intelligenze che il cinema italiano abbia mai avuto. Una delle menti più acute e osservatrici, quelle che ci hanno consegnato la tradizione della commedia italiana, mai nata solo per far ridere, mai gratuita ma sempre con quel sottofondo malinconico e sociale che, oggi qualcuno ritiene noioso e quasi degno di estinzione.
Paolo Villaggio si è sempre definito un attore mediocre. Nell’introduzione del libro del primo Fantozzi (1971, Rizzoli), arrivava a riconoscere la sua scarsa propensione a scrivere in italiano. Da parte sua, probabilmente, non avrebbe mai immaginato di fare l’attore.
E del resto la sua vita lavorativa era iniziata in modo ben diverso: all’ Italsider. Mansione, guarda un po’, impiegato. Non sottoposto, a quanto pare: ecco perché non era lui Fantozzi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare.
“Fantozzi” pare fosse un signore all’incirca sull’ottantina, che lavorava ormai da più di 50 anni in quel “burosaico complesso industriale” come lo chiamava Villaggio. Si incontrarono e l’impiegato sbatté la testa mentre cercava un fascicolo. “Scusi tanto” esclamò imbarazzato. Quasi come se fosse una colpa.
Da lì il colpo di genio: alienazione marxista e tenore di vita da medio borghese. Con quarant’anni di anticipo su ciò che stiamo registrando oggi, tra l’altro. Perché no? Così nasce Ugo Fantozzi. Un ritratto della nostra società occidentale chiaro, definito, cinico e sprezzante. Di comunista, per gli ortodossi, aveva fino a un certo punto. Ma la sinistra italiana in quegli anni Settanta si trovò a fare di tutto per cercare di conquistare l’elettorato moderato, quello delle classi medie, per intenderci, le “spaventate” come ebbe a dire Pietro Nenni alla vigilia delle elezioni del 1948.
Rimando, a tal proposito, a un saggio che ho scritto per la rivista scientifica Il Pensiero Storico, prendendo spunto proprio da Fantozzi: paradigma di quel tentativo disperato, culturale e politico, della sinistra italiana di diventare maggioranza nel Paese. Suscitando le ire di molti marxisti ortodossi, gli stessi che – in minoranza – bestemmiavano contro il Sessantotto (e in questo è impossibile non ricordare la figura di Giorgio Amendola). Invito alla lettura più che altro per una questione epistemologica: ritengo che l’argomento sia stato straordinariamente sottovalutato da studiosi e giornalisti vari, sebbene qualcuno abbia di recente riposto, seppur in modo del tutto accennato, la questione sul piatto (e mi riferisco a Marcello Veneziani).
Fantozzi fu un prodotto spontaneo, non pianificato né eterodiretto, sia chiaro. Ma ben inquadrato in quell’epoca, capace di influenzarla come di esserne il diretto prodotto.
Volevo intervistare Villaggio. Lo volevo sul serio. Per parlare a quattr’occhi di un argomento che pubblicamente ha solo sfiorato, appena accennato e sul quale ha parzialmente ironizzato quando si definiva “a sinistra del partito maoista”. Di esplicito, la sua candidatura con Democrazia Proletaria nel 1987. Ma davvero poco altro.
Addio, piccolo grande Villaggio. Senza essere, per tua affermazione, un attore, sei diventato uno dei più grandi interpreti dell’italianità. E solo per questo ti va reso un ringraziamento enorme.
(di Stelio Fergola)