Lo ius soli romano, tra realtà e mistificazioni

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Il mantra del politicamente corretto e del multiculturalismo senza identità oramai è avvinghiato con le unghie e con i denti alle sue scellerate visioni, non risparmiando nemmeno Roma e il suo Ius Civile. È ormai una costante, infatti, leggere articoli o assistere a dibattiti relativi allo Ius Soli nei quali viene tirata in ballo Roma come patria natia del multiculturalismo e della società multirazziale. Ovviamente si tratta di una delle più grandi menzogne della Storia; perché, pur essendo stata senz’altro Roma più aperta di altre precedenti esperienze politiche e sociali, come per esempio Atene, la cittadinanza romana, rappresentata da Cicerone con la frase “Civis Romanus sum”  non era automatica, ne tanto meno un diritto, ma un privilegio che comportava onori ed oneri.

Come si diventava cittadino a Roma? La cittadinanza si acquistava iure sanguinis. Ciò viene riferito da diverse fonti, prima tra tutte il giurista Gaio, nelle sue celebri “Istituzioni”. Afferma infatti il giurista che erano cittadini romani i figli legittimi di un cittadino, ovvero quelli naturali di una cittadina. La legge prevedeva che i figli nati da un matrimonio legittimo (detto connubium) seguissero la condizione del padre al momento del concepimento, e che quelli nati fuori del matrimonio seguissero la condizione della madre al momento della nascita. Non esistono quindi fonti romane, o giustinianee, che citino il principio di ius soli, ma sempre ci si riferisce chiaramente allo ius sanguinis; anche se per correttezza bisogna ammettere che la dicotomia in questione è totalmente estranea alle codificazioni romane. A Roma erano considerati cittadini figli i nati da padre cittadino purché procreati in un matrimonio legittimo, mentre per i nati al di fuori del matrimonio contava solo la condizione materna, l’unica conoscibile: il neonato infatti nasceva cittadino romano, straniero o schiavo a seconda che la madre avesse, al momento del parto, la condizione di romana, straniera o schiava.

Gradualmente, a seguito delle guerre di conquista che ampliarono i territori della Repubblica prima e dell’Impero poi, la cittadinanza venne estesa ad altri popoli. La prima fonte a riguardo, è la lex Iulia che la concedeva ai popoli Latini, seguita dalla lex Calpurnia dell’89 a.C. che la concesse ai militari che avevano servito Roma; poi la lex Plautia Papiria, sempre dell’89 a.C., con la quale, a seguito della Guerra Sociale, si estendeva la cittadinanza romana a tutti gli italici a sud del Po mentre gli abitanti della Gallia Cisalpina la ottennero con la lex Roscia nel 49 a.C.

L’estensione totale della cittadinanza a tutti i popoli dell’impero, cosa che poi è alla base del discorso iniziale, avvenne nel 212 d.C. con la Constitutio Antoniniana, promulgata da Caracalla. Tale legge però si limitò a unificare lo status di tutti gli abitanti dell’impero nella condizione di sudditi, membri non più di una comunità politica organizzata sulla base di una relativa partecipazione (con i conseguenti vantaggi sul piano pubblico), ma di uno Stato sempre più assolutista, dove il potere era interamente concentrato nelle mani del sovrano e del suo ceto burocratico. Pur avendo quindi alla base motivazioni di politica interna e di controllo da parte dell’Imperatore, va ricordato come tale estensione della cittadinanza romana valesse solo ed esclusivamente per i soggetti già presenti a quel momento nel territorio dell’Impero, escludendo quindi, de facto, tutti coloro che si sarebbero stanziati entro i confini imperiali in seguito; cosa che esclude totalmente la falsa percezione storica secondo la quale i romani abbiano aperto le porte a tutti dopo la promulgazione della Constitutio Antoniniana.

Queste righe solo per dire che Roma, per quanto fosse aperta e sia stata collante di un crogiolo di etnie differenti, e abbia sempre rispettato tutti i culti religiosi fino all’editto di Tessalonica del 380 d.C. promulgato da Teodosio (con il quale si stabiliva il Cristianesimo come unica religione di Stato) mai e poi mai si concesse con leggerezza o con generosità la possibilità di fregiarsi in pubblico di essere cittadino romano, con le annesse possibilità di eleggere cariche, o essere eletti, e di potersi presentare in giudizio tutelato dallo ius civile. Poter affermare dal Vallo di Adriano a Damasco “Civis Romanus sum” era un vanto ed un onore, non una banale conquista capricciosa. Se proprio si devono fare paragoni tra l’impero romano e la situazione attuale, si dovrebbe guardare al 395 d.C., data della separazione dell’Impero Romano in Impero d’Occidente e Impero d’Oriente, con la conseguente distruzione del primo a causa delle ondate migratorie fatte entrare nei confini del limes per uno spirito buonista ed ingenuo simile a quello europeo attuale. Ondate migratorie che sconvolsero la storia e si spartirono le antiche province romane.

(di Tomaso Giaretti)

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