“Non cambieranno il nostro stile di vita”: Erika è morta perché è già cambiato

«Non cambieranno il nostro stile di vita». Un mantra ripetuto in maniera ossessiva da giornalisti, opinionisti, politici e persino attori e cantanti ogni volta che l’Occidente viene colpito da un attentato. «Non permetteremo che qualche esaltato ci tolga la serenità, la nostra vita continuerà esattamente come prima. Come se nulla fosse successo».

Torino, 3 giugno 2017: il Real Madrid ha appena segnato la sua terza rete e in Piazza San Carlo si scatena improvvisamente il panico. Oltre 1500 persone rimangono ferite e tra queste c’è Erika, deceduta dopo dodici giorni di coma. Il motivo dell’incidente? Un attentato che non c’è.

E meno male che il nostro stile di vita sarebbe rimasto lo stesso, viene da pensare. Eh già, nelle grandi città si respira proprio un clima sereno, non c’è che dire. Ma allora come si spiega ciò che è accaduto a Torino? La risposta è semplice, anzi banale: il mantra di cui sopra è pura retorica.

Politici e opinionisti cercano di convincerci e convincersi che è tutto a posto. Questo fenomeno ha un nome in psicologia: rifiuto o negazione. Si rigetta una realtà traumatica come meccanismo di autodifesa, per evitare di farsi travolgere dalla paura. Una reazione perfettamente naturale, che altrettanto naturalmente deve essere superata per poter affrontare il problema. Ma forse lorsignori preferiscono reagire come gli struzzi, nascondendo la testa e fingendo che nulla di anormale sia successo.

Viene allora da chiedersi se questa tecnica funzioni e, soprattutto, quanto possa durare. Gli eventi di Torino dovrebbero suonare come un campanello d’allarme: il tempo della retorica è finito. La gente non si sente protetta e ha giustamente paura.

Il famoso “stile di vita” delle persone comuni è cambiato, come impongono le circostanze; ci chiediamo però quando cambierà anche la strategia politica. Per quanto ancora dovremo convivere con quest’angosciante sensazione di abbandono? Dobbiamo attendere il prossimo falso allarme?

Quante Erika dovremo ancora piangere? Dobbiamo subire un vero attentato perché lo Stato cominci a occuparsi seriamente della protezione dei propri cittadini? E, guardando a noi, per quanto tempo saremo disposti a subire questa criminale negligenza? Fino a quando rimarremo in silenzio? Forse è giunto il momento di costringere chi finge di non sentire a togliersi i tappi dalle orecchie e a darci ascolto.

(di Camilla Di Paola)