Le cause economiche della guerra in Siria

Sono ormai 6 anni che in Siria viene combattuta una sporca guerra “civile” senza che le cause vangano definite. Secondo la maggior parte dei media tradizionali questa guerra sarebbe da imputarsi alla degenerazione delle proteste contro il governo Assad, legate direttamente alla stagione delle “primavere arabe”, nella quale i protestanti pacifici si sarebbero organizzati nell’Esercito Libero Siriano per abbattere il regime. Esistono però della cause più convincenti non trattate dai nostri servizi di informazione.

Le vere motivazioni di questa guerra sarebbero da inquadrare in un’ottica geopolitica ed energetica. Il Qatar ha infatti a disposizione il più grande giacimento dei gas del mondo, che nell’emirato serve a ben poco, ma potrebbe rifornire l’Europa che dipende da forniture estere per soddisfare il suo fabbisogno energetico. I qatarioti, in accordo con la Turchia, hanno progettato un gasdotto che passando da Arabia Saudita e Siria, sarebbe arrivata nell’ex Impero Ottomano e avrebbe potuto rifornire il vecchio continente. Il governo di Damasco non diede però il suo permesso a questo progetto, scatenando le ire dei paesi del Golfo. A gettare ulteriormente benzina sul fuoco fu l’assenso di Damasco alla costruzione di un gasdotto analogo che sarebbe partito dall’Iran, sfruttando l’accesso allo stesso giacimento del Qatar, e avrebbe attraversato Iraq e Siria per poi arrivare in Europa attraverso condutture sottomarine.

Gli emirati del Golfo Persico, in accordo con la Turchia, avrebbero quindi deciso di sabotare questo progetto a causa della rivalità storica che questi paesi hanno con l’Iran. Questo antagonismo è da inquadrare, oltre che in ottica geopolitica, in una visione religiosa, in quanto l’Iran è il primo dei paesi sciiti, seguito proprio dalla Siria, mentre le monarchie arabe e la Turchia rappresentano il cuore pulsante dell’Islam sunnita.

La modalità di questo sabotaggio è più semplice di quanto non si voglia pensare. Qatar e Turchia avrebbero favorito l’infiltrazione in Siria di numerosi gruppi jihadisti, che dopo essere stati armati, avrebbero sfruttato il clima teso delle proteste di piazza per trasformare il paese guidato da Assad in un enorme polveriera.

A questo punto il valzer delle alleanze ha trasformato la Siria in un campo di battaglia globale. Al fianco del governo di Damasco si sono schierati naturalmente l’Iran, le milizie sciite di Hezbollah e la Russia, che possiede due basi militari nella Repubblica Araba. Al fianco dei ribelli invece si sono schierate le monarchie del Golfo, la Turchia, gli Stati Uniti alleati storici dell’emirato qatariota e di conseguenza i paesi europei, di fatto subordinati alla politica estera a stelle e strisce.

I media occidentali per giustificare l’intervento hanno quindi fatto passare gruppi terroristici il fronte al-Nusra, Ahrar al-Sham e l’esercito dei Mujaheddin come milizie composte da ribelli moderati, in quanto alleati dell’Esercito Libero Siriano. Questi gruppi, che combatterebbero per la disfatta di Assad e l’avvento della democrazia, in realtà hanno l’obbiettivo di instaurare un sistema politico basato sulla shari’a in Siria.

L’Occidente si è quindi dimostrato disposto a rovesciare l’unico paese laico dell’area mediorientale, pur di non scontentare gli alleati islamisti, tanto simili ai terroristi che si dice di voler combattere, ma assai ricchi di petrolio.

(di Pietro Ciapponi)