I Nizariti, la temibile Setta degli Assassini

Praticamente tutti conoscono la celebre saga videoludica Assassin’s Creed. La trama del gioco si sviluppa attorno all’eterna rivalità fra due società segrete, i Templari e gli Assassini. I diversi protagonisti dei capitoli della saga, tutti Assassini, affrontano la minaccia templare in diversi scenari e in diverse epoche. L’obiettivo finale è quello di garantire la sopravvivenza del libero arbitrio e delle libertà individuali contro chi (i Templari, appunto) vuole invece soggiogare il genere umano. La storia di Assassin’s Creed è ovviamente romanzata e fittizia, sebbene tenda a sovrapporsi a eventi storici realmente accaduti. Eppure non tutti sanno che la Setta degli Assassini esistette davvero ed ebbe un ruolo fondamentale in molte questioni successe in Terra Santa, a iniziare dalle Crociate.

Ma chi erano realmente questi Assassini? Essi facevano parte di una particolare setta interna all’Ismailismo, a sua volta una corrente dell’Islam Sciita. Erano conosciuti anche come Nizariti, per via del loro supporto a Nizār al-Muṣṭafā li-Dīn Allāh (morto nel 1097), sfortunato nono Imam ismailita del Cairo deposto dal fratello. Il loro leader,  Hasan -i Ṣabbāḥ, guidò i seguaci dello sconfitto Nizar dall’Egitto alla Persia. Qui essi presero in controllo della rocca di Alamūt e ne fecero una fortezza pressoché inespugnabile.

Hasan -i Ṣabbāḥ non era una persona qualunque. Fu un capo estremamente carismatico, nonché un leader religioso colto e preparato. E ambizioso. Nella sua rocca di Alamūt si circondò ben presto di un numeroso e coeso gruppo di accoliti, fedelissimi a lui e alla dottrina nizarita. Minacciato costantemente dai vicini turchi e arabi (entrambi perlopiù sunniti), ben presto Hasan -i Ṣabbāḥ iniziò a utilizzare l’omicidio mirato come strumento politico e religioso. La leggenda vuole che i Nizariti fossero soliti assumere droghe prima di assassinare qualcuno, principalmente hashish. Lo stesso nome arabo della setta – al-Hašīšiyyūn – sembrerebbe rimandare proprio a questa sostanza stupefacente.

Da al-Hašīšiyyūn deriva il termine assassino, passato poi al linguaggio comune proprio a indicare un killer o un omicida. Non è tuttavia ben chiaro se davvero i Nizariti fossero soliti assumere droghe, ma quel che è certo è che all’interno della setta vigevano una rigida gerarchia e un forte sistema di condizionamento. La congregazione era infatti divisa in vari gradi, che andavano dal più basso (il novizio) al più alto (il Gran Maestro). Tutti gli aspiranti Assassini seguivano un rigido addestramento, sia fisico che spirituale. Lo stesso Hasan -i Ṣabbāḥ non si tirava indietro, dando ai suoi discepoli un esempio da seguire. Si dice che abbia ucciso addirittura due suoi figli, colpevoli di aver trasgredito le rigide regole dell’Islam.

Gli Assassini erano soliti colpire di venerdì, giorno sacro dell’Islam, in luoghi affollati e davanti a un pubblico numeroso: piazze e moschee erano i loro posti prediletti. I sicari sapevano bene che, portato a termine l’assassinio, per loro non ci sarebbero state possibilità di fuga. Sapevano quindi di andare anche loro incontro a morte certa. Una morte che, secondo le cronache dell’epoca, affrontavano serenamente e senza paura. Furono diverse le personalità importanti a finire nel mirino dei Nizariti. Nel 1135 assassinarono il califfo al-Mustarshid a Baghdad, mentre nel 1192 fu il turno del re di Gerusalemme Corrado del Monferrato. La Setta degli Assassini tentò anche di uccidere il Saladino, che scampò miracolosamente all’agguato tesogli ad Aleppo nel 1176.

Ḥasan-i Ṣabbāḥ morirà nel 1124, lasciando la guida degli Assassini nelle mani del suo braccio destro. Seguiranno poi diversi altri leader, di cui mai nessuno all’altezza del primo. I Nizariti riusciranno tuttavia a resistere ai continui attacchi sferrati loro dai Turchi sunniti, spesso creando ambigue alleanze con i regni crociati di Terra Santa. Sarà solamente nel 1255 che gli Assassini dovranno soccombere a una nuova e inaspettata minaccia: i Mongoli del khan Hulagu, che riusciranno infine a espugnare la rocca di Alamūt e a disperdere la setta.

Ben presto attorno alla figura di Ḥasan-i Ṣabbāḥ e alla rocca di Alamūt nacquero numerosi miti e leggende. E’ infatti il fondatore della Setta degli Assassini il mitico Vecchio della Montagna descritto da Marco Polo ne Il Milione. Il viaggiatore veneziano racconta di un inespugnabile castello arroccato fra le montagne, il cui signore (Il Vecchio della Montagna, appunto) aveva ricreato in terra il paradiso descritto dal profeta Maometto. Un luogo dove cibi prelibati e divertimenti erano all’ordine del giorno e dove si poteva accedere solamente dopo essere stati addormentati. Qui il Vecchio era circondato da numerosi giovani che lo veneravano come un profeta. Quando egli aveva bisogno di uccidere qualcuno, drogava uno di questi discepoli con l’hashish e lo portava fuori dal castello. Il giovane, desiderando ardentemente di poter tornare in quel paradiso terrestre, accettava quindi di compiere l’omicidio per il suo maestro. Altrimenti mai più avrebbe potuto mettere piede in quel luogo di piaceri e delizie.

“Ora dirassi del Veglio della Montagna… Nella sua corte, detto vecchio teneva giovani da 12 fino ai 20 anni, che li pareva essere disposti alle armi, e audaci, e valenti degli abitanti in quelle montagne, e ogni giorno gli predicava… questo è il comandamento del nostro profeta, che chi difende il signor suo gli fa andar in paradiso e se tu sarai obbediente a me, tu averai questa grazia: e con tali parole gli avea così inanimati che beato si reputava colui, a cui il Vecchio comandava, ch’ andasse a morire per lui.”

(di Andrea Tabacchini)