Riina: anche in carcere si muore con dignità, basta con la retorica

Per morire in maniera degna sono sufficienti un letto, un tetto, che non ci siano torture, accanimenti fisici e alimentari o terapeutici. Tutto il resto sono fregnacce, inventate da una società superficiale che fa di tutto per continuare ad essere superficiale e peggiorare, se è possibile.

Se la mafia fa paura lo Stato deve farne di più”. È una delle frasi più celebri di chi la mafia la colpì davvero, Cesare Mori, il prefetto di ferro, l’uomo che quasi debellò del tutto il fenomeno mafioso in Italia, tornato poi con lo sbarco in Sicilia.

Lo Stato (inteso sia come istituzioni che come società civile) oggi non riesce a fare paura ai mafiosi per tanti motivi.

Non riusciamo a fare paura per sistemi acclarati di connivenza e complicità tra mafia e politica; non riusciamo a fare paura perché non siamo capaci di rigettare il puzzo del compromesso; non riusciamo a far paura per primi noi cittadini, quando dal peccato più piccolo a quello più grande ci pieghiamo anche solo per un attimo davanti alla logica di fenomeni che avvelenano il nostro Paese.

Non riusciamo a far paura per un sistema corroborato che induce al pietismo, per tutti, anche per i mafiosi; un sistema che ci insegna che ci sono solo vittime e non carnefici, in una visione della giustizia volta sempre a tutelare gli aggressori sugli aggrediti, i criminali sulle vittime, sempre a cercare la giustificazione e non la giustizia.

È questo invece quello che una società dovrebbe cercare, la giustizia, non la pietà, non la compassione. Queste sono cose che attengono al privato di ogni uomo, ma che non spetta alla società tutelare. Ad essa è richiesta tutelare il giusto.

Riina è malato. Il più grande stragista della storia d’Italia si dice sia vicino alla morte. La Cassazione apre dunque alla soluzione del differimento della pena, annullando, per difetto di motivazione, la decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna che aveva respinto la richiesta dell’avvocato del boss a causa della “pericolosità del personaggio”.  Secondo i signori della corte “la morte va rispettata” e anche un criminale, un verme come Totò Riina ha diritto ad una morte dignitosa, a casa sua, nel suo letto.

Il “rispetto della vita” che, ironia della sorte, una certa porzione di società si tiene ben distante da proteggere quando si tratta di altri temi, viene sistematicamente invece messo in gioco, con logiche assurde, quando si tratta di tutelare i criminali. Ma tralasciamo questa palese contraddizione.

Il signor Riina, noto come “La Belva” è stato condannato a non uno, ma ben 16 ergastoli, frutto di un numero incalcolabile di omicidi oltre ai classici reati legati al fenomeno mafioso.

Questo ha sancito la giustizia. Questo è quello che merita Riina, e questo è quello a cui deve andare in contro. Nessuno sconto, nessun differimento, nessuna attenuante per nessun motivo. La belva deve passare in galera tutto il resto della sua vita, e se ci sono problemi di salute continuerà a fare avanti e indietro dal carcere fino a morire tra quelle mura: definirlo “indegno” anche se è stato un giudice a decretarlo, non vuol dire che sia la verità.

Si immaginano forse i signori pietisti che il Riina non riceverà le cure fino a che non esalerà l’ultimo respiro? Verrà forse torturato, intossicato con il gas, privato del cibo, messo nel cortile carcerario durante una furiosa burrasca? Di cosa diamine stiamo parlando, di grazia? Ovviamente del nulla, perché il nulla in questi casi domina.

E si inventano addirittura questioni che non avrebbero nemmeno ragione di esistere. La dignità della morte la si può avere anche in carcere. Il resto è compassione. E a noi non sta averne di lui. A noi sta invece assicurare che fino alla fine dei suoi giorni paghi per le sofferenze che ha inflitto. A noi sta tutelare le vittime innocenti di mafia, gli eroi che sono morti per combatterla. È inutile riempirsi la bocca con Falcone e Borsellino, con le foto e gli striscioni se non abbiamo il coraggio di pretendere che Salvatore Riina sconti la sua pena fino alla fine dei suoi giorni.

Un mafioso resta mafioso anche se vicino alla morte. La compassione e la pietà sono sentimenti umani, e chi ne è capace può provarli anche verso certi esseri spregevoli. Non è possibile però chiedere a tutti gli altri di fare altrettanto.

Che il boss paghi fino in fondo. Il resto, lo ripetiamo, sono fregnacce.

(di Simone De Rosa)