Trump e Putin: l’amore impossibile

Per tutta la sua campagna elettorale, Donald Trump ci ha fatto sognare un nuovo ordine mondiale, in cui lui e Vladimir Putin avrebbero unito le forze per risolvere le crisi causate dagli Stati Uniti negli ultimi 8 anni di amministrazione Obama. Trump & Putin, Putin & Trump: come due supereroi si sarebbero alleati per sconfiggere i cattivi, a cominciare da Hillary Clinton. La corsa alla presidenza era iniziata come una pazza idea di un eccentrico uomo d’affari, ma, giorno dopo giorno, quest’idea si faceva sempre più concreta. Il Tycoon ha vinto le primarie del partito repubblicano costringendo alla resa, uno dopo l’altro, tutti i suoi avversari ed ha trionfato sulla Clinton e tutto ciò che la candidata democratica rappresentava. Ma, man mano che The Donald si avvicinava alla Casa Bianca, la fantasia e l’emotività dovevano lasciar posto al realismo che il nuovo ruolo istituzionale gli imponeva e quelle che sembravano vere e proprie dichiarazioni d’amore per Vladimir Putin si spensero in semplici attestati di stima. Ora il Presidente Trump dichiara a Fox News di nutrire rispetto per il suo omologo russo, ma ciò non significa che andranno d’accordo, con buona pace di chi si era illuso del contrario.

C’è da credere che Trump provi una sincera ammirazione per Putin, d’altronde il Tycoon è un homo novus della politica ed è stato eletto con la promessa di rifare grande l’America, proprio ciò che il Presidente russo fa da quasi 20 anni per il suo paese. Putin, infatti, ereditò una nazione ancora sotto shock per il crollo dell’Unione Sovietica, sul cui cadavere banchettavano come sciacalli oligarchi e potenze occidentali, e l’ha resa nuovamente una grande potenza. Ma è proprio il rinnovato protagonismo internazionale di Mosca che Washington vede come una minaccia e il 45esimo Presidente degli Stati Uniti dovrà accettare il ruolo delle parti in questo teatro geopolitico.

Trump ha sempre sostenuto di voler collaborare con Putin per sconfiggere lo Stato Islamico, ma, ancor prima di iniziare, sorgono già dei contrasti. Per il Presidente americano l’Iran è «lo Stato terrorista numero uno», mentre il Cremlino considera Teheran un alleato imprescindibile, non solo nel conflitto siriano, ma nell’intero scenario mediorientale. La Russia ha convocato ad Astana, in Kazakistan, i nuovi colloqui per la pace in Siria invitando i rappresentanti di Turchia e Iran ed escludendo, almeno per ora, gli Stati Uniti, impegnati nel passaggio di consegne tra vecchia e nuova amministrazione. Mosca conduce la partita in Medio Oriente, mentre Washington è ferma al palo. Con Obama gli Stati Uniti sono stati messi sotto scacco: hanno perso terreno, potenza e, soprattutto, credibilità agli occhi dei suoi alleati storici (Israele, Arabia Saudita e Turchia) che intanto strizzano l’occhio alla Russia. Trovare un accordo col Cremlino sulle rispettive aree di influenza sarà sempre più difficile, se non impossibile.

Quello che Trump cerca nella Russia è soprattutto una sponda per contenere il Dragone entro i confini della Grande Muraglia. La Cina è la prima economia al mondo per Prodotto Interno Lordo, detiene il 20% del debito pubblico americano e ha interessi in ogni angolo del globo, dall’Africa all’America Latina. È la Cina – quindi – e non la Russia, il vero e unico competitor su scala globale degli Stati Uniti e la conferma è arrivata dal forum di Davos, dove Xi Jinping si è presentato come il nuovo alfiere della globalizzazione, lanciando, implicitamente, la sfida all’egemonia mondiale statunitense.

Pechino è dunque uno di quei dossier su cui Washington e Mosca dovrebbero collaborare, a detta del nuovo Segretario di Stato, Rex Tillerson, ma Stati Uniti e Russia «probabilmente non saranno mai amici» – ha aggiunto lo stesso Tillerson – e il loro terreno di scontro continuerà ad essere soprattutto l’Europa. Durante l’audizione per la ratifica della sua nomina, il Segretario di Stato ha dichiarato che la Russia «ha invaso l’Ucraina e si è presa [illegalmente] la Crimea», una denuncia a cui fanno eco le parole di Nikki Haley, ambasciatrice USA presso le Nazioni Unite, pronunciate in occasione della sua prima conferenza stampa. Nonostante le aperture di Trump al Cremlino, la nuova amministrazione non si distingue dalla precedente e il contenimento della Russia comincia dall’Ucraina, perché «senza l’Ucraina la Russia cessa di essere un impero», come scrisse Brzezinski ne La grande scacchiera già nel 1989. «La Russia rappresenta – dunque – un pericolo [e] i nostri alleati della NATO hanno ragione ad essere preoccupati dalla sua rinascita», ha continuato l’ex CEO di Exxon-Mobil, insistendo su concetti già espressi dal Segretario alla Difesa, James Mattis, e dal nuovo capo della CIA, Mike Pompeo.

Sostenere che la NATO sia «obsoleta», significa volerla rinnovare, non smantellare. Trump, infatti, pur lamentandosi dell’Alleanza Atlantica, non ha mai detto di volersene sbarazzare. L’approccio della Casa Bianca si farà più pragmatico: se gli europei vogliono la protezione degli Stati Uniti dovranno partecipare alle spese militari con il 2% del PIL. Anche il dispiegamento di battaglioni operativi ai confini con la Russia, a cui partecipano contingenti di tutti gli Stati membri, è una strategia che permetterà ai comandi americani di mantenere il controllo sulle operazioni NATO anche nel caso di un futuro disimpegno, perché lasceranno le truppe europee a presidiare i confini e portare avanti un’inimicizia (quella con la Russia) che loro stessi hanno provocato.

Il miglior alleato degli Stati Uniti in Europa sarà, ancora una volta, il Regno Unito. Il referendum britannico, seppur non abbia ancora iniziato a produrre effetti politici, costringerà l’Unione europea a ripensare se stessa, ma non ha mai messo in discussione il ruolo della NATO. E proprio l’Alleanza Atlantica sarà il perno attorno a cui ruoterà la «Special Relationship» tra Londra e Washington. La nuova inquilina di Downing Street, Theresa May, e il Ministro degli Esteri britannico Boris Johnson hanno tutta l’intenzione di portare avanti il clima di ostilità contro il Cremlino, nonostante le aperture di Trump, per offrire alla NATO una ragione d’esistere.

Non è altro che un nuovo capitolo della Guerra Fredda. Gettata la maschera ideologica, il confronto Est-Ovest si rivela per quello che è: una profonda contrapposizione geopolitica, che impone a Washington di continuare a contenere Mosca, ma, soprattutto, dividerla dall’Europa. Noi europei siamo di fronte a un bivio: continuare ad essere «la testa di ponte americana sul continente euroasiatico» o abbattere la cortina di ferro che continua a dividerci dalla Russia.

(a cura di Prospettive Globali)