La Santa Vehme, storia e leggenda di giudici e assassini

«Giuro sul mio onore più sacro che terrò e manterrò nascosti i segreti della Santa Vehme, nascosti al Sole e alla Luna, all’uomo e alla donna, alla sposa e al figlio, al villaggio e ai campi, all’erba e all’animale, al grande e al piccolo, a sola eccezione dell’uomo che può favorire la Vehme. Giuro che non lascerò conoscere nulla, mi sia pure imposto per amore o per paura, per dono o per ornamento, per oro o per argento né per capriccio di donna.»

Vuole la leggenda che sia stato l’imperatore Carlo Magno in persona a fondare la Santa Vehme (o Corte Vehmica), raccogliendo gli uomini più integerrimi e onesti dell’Impero e organizzandoli in tribunali segreti. Il loro compito doveva essere quello di controllare e vigilare sulle malefatte dei nobili franchi e germanici, giudicandoli ed eventualmente punendoli. Con la morte di Carlo Magno e la crisi del Sacro Romano Impero, la Vehme sembra però degenerare rapidamente, trasformandosi in un oscuro (e ancora poco conosciuto) strumento di vendetta e morte. Per diversi secoli, quello della Santa Vehme fu un nome in grado di terrorizzare chiunque, dai semplici contadini fino ai nobili più influenti.

Ma che cos’era, di fatto, la Corte Vehmica? La Vehme era un tribunale speciale e segreto, un gruppo clandestino di giustizieri che per buona parte del Medioevo operò in diverse zone della Germania, specialmente in Westfalia. I suoi affiliati, che si chiamavano fra loro giudici liberi (in tedesco freischöffen) erano soliti riunirsi in località segrete per giudicare l’operato di persone da loro ritenute malvage o inique. Se l’imputato veniva ritenuto colpevole le alternative erano sostalzialmente due: o la Vehme passava la denuncia ai tribunali legali, lasciando che se ne occupassero questi ultimi, o attuava essa stessa la punizione. Punizione che, nella maggior parte dei casi, significava la morte.

Trattandosi di processi clandestini e segreti, se un malcapitato diventava vittima delle attenzioni di una Corte Vehmica ovviamente non poteva saperlo. Quando se ne rendeva conto era spesso e volentieri troppo tardi. I boia della Vehme, per annunciare l’imminente condanna a morte di un imputato, affiggevano fuori da casa sua una pergamena su cui erano disegnati sette sigilli. Chi trovava sulla porta della propria abitazione i simboli vehmici poteva di fatto ritenersi un uomo morto, senza possibilità di salvezza. La Santa Vehme infatti, all’apice della sua potenza (tra il XII e il XIII secolo) poteva contare fino a centomila affiliati, fra giudici, boia e cavalieri. Un potere immenso, quindi, che poteva arrivare praticamente ovunque.

Solitamente le Corti Vehmiche erano solite riunirsi di martedì sera, nel giorno sacro a Marte. Secondo i romani, infatti, spettava proprio al Dio della Guerra il diritto di vita e di morte sugli uomini. Diritto che anche i membri della Vehme rivendicavano per sé. Trattandosi di una società clandestina, l’identità dei giudici liberi era spesso segreta, così come segreti erano i loro rituali. Durante i processi, i partecipanti era tenuti a indossare un cappuccio nero che celasse le loro generalità. Inoltre i membri della Vehme utilizzavano gesti e formule parlate conosciuti solo a loro. Si dice che un affiliato dell’organizzazione fosse in grado di riconoscerne un altro dal modo particolare di tenere il coltello sul tavolo durante un banchetto.

L’origine stessa della parola Vehme è incerta e oscura. Di essa si sa soltando che fu usata per la prima volta nella città di Munster nel 1229. Un altro documento, datato 1251, riferisce che «alla giustizia celata (segreta), ci si riferisce di comune abitudine col termine di vehma». Non è nemmeno ben chiaro quale fosse il rapporto fra le Corti Vehmiche e la giustizia ufficiale. I giudici liberi dicevano di agire in nome dell’autorità imperiale, e di prendere ordini dall’Imperatore in persona. E’ comunque certo che in più occasioni la Vehme fu favorita e spalleggiata dai tribunali ordinari, che spesso le davano carta bianca.

Il Gran Maestro era la carica più alta e importante all’interno della Corte Vehmica. Seguivano poi i già citati giudici liberi, che oltre a comporre la giuria di un processo svolgevano spesso anche la funzione di boia dell’imputato. Colui che veniva giudicato colpevole veniva ucciso in maniera rapida e brutale. Molte volte le esecuzioni avvenivano lo stesso giorno in cui veniva emesso il verdetto. Solitamente, dopo la condanna a morte, i giudici liberi appendevano il cadavere del malcapitato a un albero. Un chiaro monito verso chiunque fosse stato giudicato colpevole dalla Santa Vehme.

La Corte Vehmica fu, per più di un secolo, un potentissimo ed efficiente strumento di morte. Con migliaia di affiliati sparsi per la Germania, era in grado di estendere i suoi tentacoli in quasi ogni parte dell’Impero. Nessuno, se giudicato colpevole, poteva dirsi al sicuro. La Vehme poteva colpire, e colpì, indistintamente nobili, clero e popolani. Tuttavia, aumentando sempre più l’influenza dei giudici liberi, essa si trasformò ben presto da strumento di giustizia in strumento di vendetta. I suoi membri iniziarono a usarla come semplice mezzo per togliere di torno nemici personali, concorrenti in affari o persone poco gradite. A poco a poco iniziò a perdere quella sua vocazione giustizialista che le aveva permesso di nascere e prosperare.

Nel 1437 le autorità della Westfalia decisero di intervenire. Convocarono i pochi giudici liberi di cui erano a conoscenza e imposero loro di limitare le violenze e gli abusi. Nel XV secolo, l’autorità imperiale stava riacquistando il suo prestigio e il suo potere. Non erano più gli anni caotici e violenti del XIII secolo, e l’Impero non aveva più bisogno di questo strumento di giustizia conosciuto come Santa Vehme. Pian piano le Corti Vehmiche iniziano a sparire, soppiantate dalla nuova ed efficiente legge imperiale. I tribunali vehmici rimasti furono costretti a uscire dalla clandestinità, diventando in un certo senso una semplice appendice di quelli legali e imperiali. Dovranno tuttavia passare ancora altri secoli prima che la Vehme scompaia del tutto. Girolamo Bonaparte, re di Westfalia, la metterà al bando definitivamente solo nel 1811. l’ultimo giudice libero, invece, è morto nel suo letto nel 1835.

(di Andrea Tabacchini)