Caso Zuccaro e i magistrati eroi a targhe alterne, vecchia storia

“Se ha delle prove faccia presto, le ONG non possono essere sotto attacco, fanno un mestiere nobile”

È il mood che da giorni sentiamo e leggiamo. Una pressione soft sul procuratore di Catania Zuccaro che da un mese ha messo sotto la lente d’ingrandimento 9 ONG e le loro anomalie, con salvataggi in mare che sembrano sempre di più un servizio taxi. 

Una pressione che assume sempre di più le sembianze di una gogna pubblica, man mano che la bolla mediatica si allarga, che alcuni giornali come “La Stampa ” di Torino, prendendo spunto dall’inchiesta , verificano alcune telefonate partite tra la ONG maltese dei coniugi Catambrone e gli scafisti del porto di Sabrhata e che alcuni senatori e deputati del M5S, FI e Lega presentano interrogazioni parlamentari. 

Il tutto con la via di Damasco che miete altre vittime e folgora il “Fatto Quotidiano” che inizia improvvisamente a parlare di “procure e magistrati protagonisti esibizionisti” e urla un “basta alla magistratura show”. Insomma, i giornalisti del Fatto appendono al chiodo la forca usata per anni deliberatamente nei confronti di Silvio Berlusconi.

Zuccaro oggi appare isolato dai colleghi e sotto il mirino dei giornalisti: sotto i colpi di post “sollecitatori” di Enrico Mentana, di scrittori come Saviano che, vista la vocazione “legalitaria“, invece, dovrebbero essere in prima fila a dar man forte ad un servitore dello Stato che sta semplicemente esercitando il suo lavoro, indagando in un campo che da Buzzi e Coop fino al CARA di Mineo ha già serbato ombre di lucro sui migranti e legami con la criminalità organizzata. Una pressione sul Procuratore di Catania che ha similitudini antiche e inquietanti.

Erano gli anni ’90, due giornalisti Rai, Ilaria Alpi e Milan Hrovatin si trovavano in Somalia a narrare un conflitto e per caso si ritrovarono ad indagare su un traffico di armi e rifiuti tossici. Ad un certo punto saltò ai loro occhi il ruolo della cooperazione internazionale italiana. 

“La cooperazione internazionale fa un mestiere nobile e non va infangata, vergognatevi” il mondo tuonò e contro i giornalisti Rai partì una gogna senza precedenti.
Gogna che si trasformò in adorazione post mortem. Trattamento simile fu serbato a due eroi della lotta alla mafia. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. 

Per anni il pool fu accusato da politica e firme nobili del giornalismo italiano, uno su tutti, Sciascia, (articolo “i professionisti dell’antimafia ” Corsera 10 gennaio 1987) fino a quando la macelleria messicana attuata da Totò Riina nei confronto degli eroi di Stato non colpì anche Falcone e Borsellino.

Da allora il loro martirio venne incensato dalla classe politica e dai media e oggi si sprecano le strade, le targhe, le giornate che ricordano il martirio di Alpi, Hrovatin, Falcone e Borsellino.
Personaggi caduti esercitando il proprio dovere giornalistico e di magistrati.
Personaggio isolati in vita e mitizzati post mortem in una gara condita da retorica e belle parole a chi si pulisce di più la coscienza.

Oggi Zuccaro è isolato, bersagliato per aver semplicemente fatto il suo mestiere, intercettato telefonate tra ONG e scafisti, approfondito. Serve la presa di posizione celere delle istituzioni in primis e dei cittadini poi, una solidarietà nei confronti di chi oggi chiede chiarezza e legalità. Una cosa da pretendere sempre e non solo quando piace ad una parte politica e intellettuale, la stessache ha innalzato il totem dell’accoglienza, argomento tabù, intoccabile, senza che qualche giornalista o intellettuale se ne esca dispensando patenti di xenofobia.

Oggi Zuccaro ha bisogno di sentire attorno a sé l’appoggio dell’opinione pubblica e dello Stato, contro l’esasperata pressione mediatica, che assume sempre più le sembianze di una gogna. Una gogna che già in passato ha creato martiri. Anche troppi.
Così, non ci resta che chiudere con una massima:

Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.”

                                                                                                                      (Giovanni Falcone)

(di Luigi Ciancio)