Vietare le commemorazioni ai caduti della RSI? Altra “boldrinata” frutto di ignoranza antifascista

Laura Boldrini vorrebbe vietare il raduno di ex Repubblicani di Saló al Campo X del Cimitero Maggiore di Milano in occasione del 25 aprile.

La Legge Scelba, però, permette questo tipo di commemorazioni a patto che non costituiscano propaganda “finalizzata alla ricostituzione del disciolto Partito Nazionale Fascista”. Siamo di fronte, quindi, ad un nuovo tradimento della funzione primaria che questa inutile signora ricopre, ossia quella di garanzia nei confronti delle norme e delle leggi.

Nuovo perché, nell’aprile 2015, accadde più o meno qualcosa di simile; sotto pressione dell’antifascismo paranoide dell’ANPI, la “PresidentA” aveva pensato che si dovesse categoricamente rimuovere la scritta DVX dall’Obelisco del Foro Italico ignorando che, essendo un patrimonio artistico avente più di 50 anni, fosse sotto la tutela della legge Bottai-Brandi del 1939 n. 1089.

Questa è la competenza delle alte cariche dello Stato italiano che fa il paio con la loro cultura storiografica; da rabbrividire. Il compito assolutamente categorico di discostarsi da certa vulgata resistenziale, che ha voluto che i militi della Repubblica Sociale Italiana fossero tutti criminali mentre gli aderenti alla Resistenza tutti buoni o addirittura eroici, continua a venire a mancare, nonostante i 72 anni trascorsi.

Inutile continuare a far finta di nulla in nome del conformismo antifascista bigotto; a Salò andarono figure gigantesche come Nino Arena, comandante della Divisione Ariete nella seconda battaglia di El Alamein (23 ottobre 1942), che, come la Folgore, non indietreggiò di un solo passo agli attacchi angloamericani guidati da Bernard Law Montgomery.

Ci andó Domenico Pellegrini Giampietro, colui che assoggettò allo Stato la Banca Centrale e rese attivo il bilancio statale per 20,9 miliardi di lire nel 1945. Ci andò Carlo Alberto Biggini, teorico della democrazia organica ed eccellente ministro dell’Educazione Nazionale al quale sono dedicati istituti di studi storici.

Ci andò Junio Valerio Borghese, uomo coerente che mediò personalmente con i comandi tedeschi affinché fossero liberati dai campi di concentramento i prigionieri di guerra italiani dopo l’8 settembre. Ci andarono i “ragazzi di Firenze”, ossia militi dai 15 ai 20 anni cresciuti nel mito di Berto Ricci ed Alessandro Pavolini che, nel capoluogo toscano prossimo a cadere per mano alleata, si opposero con ogni mezzo alla sua conquista, sparando dai tetti, tagliando le vie di comunicazione e morendo fucilati con onore sul Sagrato di Santa Maria Novella l’11 agosto 1944, come racconta Curzio Malaparte nel romanzo “La Pelle” del 1947.

Ci andarono Nicola Bombacci, Walter Chiari e Giorgio Albertazzi. Oggettività di contenuti che sembra banale, ma che evidentemente non lo è quando il complesso di inferiorità dello Stato italiano nei confronti di quei vent’anni viene alimentato da taluni soggetti.

(di Davide Pellegrino)