Cosa ci dice il referendum turco

L’ultimo rilevamento di venerdì parlava di un Sì devastante. Il primo exit pool anche.

La realtà ci parla di un referendum finito 51% a 49%, con Erdogan che sarà Ras per un milione di voti di scarto. Un distacco sottilissimo, nonostante abbia chiuso due testate giornalistiche coi carrarmati, nonostante l’arresto e il processo di 16 giornalisti, il dimezzamento dei vertici del primo partito di opposizione e la quasi chiusura di quello comunista, l’epurazione da scuole, esercito e uffici pubblici di chiunque non fosse Akp. Nonostante abbia dato un tono da “noi contro il resto del mondo” al referendum, Tayyp vince per il rotto della cuffia e dimezza i consensi nel resto d’Europa, Inghilterra su tutti, dove per il No è un trionfo.

In meno di un mese il partito ed Erdogan perdono le roccaforti che si erano ribellate al golpe, Istanbul e Ankara su tutte; vede le città turistiche che lo puniscono per aver perso il 98% del turismo russo e il 35% di quello tutale e certifica il mancato appoggio degli ultra nazionalisti.
La politica di Erdogan ha polarizzato la Turchia, divisa tra i supporter della radicalizzazione e l’anima kemalista.

L’esito del referendum conferma che Recip Tayyp Erdogan è scaltro e lungimirante. A lui non serviva un plebiscito, ma blindare il suo status, il suo governo in maniera assolutista. Il presidente turco aveva fiutato una polarizzazione e una linea dura che in meno di 6 mesi ha fatto crollare di 22 punti il suo consenso, un crollo a picco che a lungo poteva tramutarsi in sconfitta, anche a causa di una partecipazione al conflitto siriano che volge verso la vanificazione dei suoi sogni di “grande nazione sunnita”.

Erdogan oggi ha perso consensi, ma vincendo, ha dimostrato di saper fiutare il vento e trasformare una repubblica una volta laica e libera in una monarchia assoluta. Anche a costo di dividere il Paese.
Anche a costo di allontanarsi definitivamente dal “sogno europeo ” e diventarne ufficialmente l’aguzzino, ago della bilancia sulla questione migranti.

Anche a costo di una guerra civile.

(di Luigi Ciancio)