(Nino Benvenuti)
Com’è possibile tenere tra i 16 e i 18 milioni di ascoltatori italiani, a notte fonda, incollati alla radio? La storia dà due risposte decisamente chiare: una dice Italia-Germania, la partita del secolo, quella di Messico ’70; l’altra esula incredibilmente dallo sport nazionale, dal 4-4-2 e dal destro morbido nell’angolo di Rivera e vede invece un pugile 29enne istriano (triestino d’adozione dopo il passaggio della regione alla Jugoslavia) sfidare, in un incontro che vincere sembrerebbe utopia, il campione del mondo dei pesi medi Emile Griffith.
I pronostici erano chiaramente tutti a favore del campione in carica e la sicurezza ostentata in modo anche un po’ arrogante (ma questi sono i toni della boxe) non bastò a far credere al pubblico americano che quel ragazzotto italiano potesse seriamente mettere alle corde il loro beniamino. L’Italia invece era ferma, ansiosa e ci credeva… ci credeva eccome. 17 aprile 1967, arriva il grande giorno, o meglio la grande notte, e alla radio la voce rassicurante ed entusiasta di Paolo Valenti racconta il boato e l’euforia palpabile della folla che straripa dal tempio della boxe, il Madison Square Garden di New York :”eccoci, sta per cominciare la grande ora di Nino Benvenuti!”.
Il match è entusiasmante, con i due pugili che non si risparmiano colpi, Griffith va al tappeto al secondo round ma si rialza, e nella quinta ripresa è Nino a cadere al suolo. Anche lui però non molla e, dopo essersi rimesso in piedi, continua ad incalzare l’avversario. Il verdetto finale è unanime, 10 riprese a 5 a parere di due giudici e 9 a 6 secondo il terzo, il tutto in favore del nuovo campione del mondo Nino Benvenuti che consegna per la prima volta il titolo WBA e WBC al tricolore italiano. Il ritorno in Patria è un trionfo; bloccato dalla folla a Milano si dirige verso una Trieste che per lui è scesa in piazza festante, così come tutta l’Italia, ricca di gioia come mai lo era stata per uno sport “minore”. Ma la storia e le emozioni non finiscono qui, perché la rivalità, quel Benvenuti – Griffith, sarà destinata a diventare un’icona per gli appassionati, italiani e non.
Dopo appena pochi mesi, il 29 settembre, infatti, come da previsione contrattuale scatta la rivincita. La scenografia è quella dello Shea Stadium, con dall’altro lato dell’Oceano un Paese che attende ancora una volta trepidante la conferma del titolo da parte del suo eroe, che però, nonostante stavolta avesse il favore dei bookmakers, sarà costretto a cedere sotto i colpi di un Griffith in gran spolvero, e perderà il titolo. Un secondo match che però non svilisce minimamente la figura dell’italiano, che si arrende all’americano a testa altissima, riuscendo a rimanere in piedi fino al gong nonostante la rottura di una costola rimediata quando l’incontro era solo al secondo round.
Tre incontri dunque, quelli combattuti dai due pugili, in una storia dal sapore cinematografico che ricorda un po’ Rocky Balboa ed Apollo Creed della celebre saga. Una storia, purtroppo, dal sapore invece dannatamente reale, quella che vedrà, dopo il suo ritiro, Emile Griffith ridotto alla soglia della povertà (avendo donato i suoi guadagni alla famiglia) e con la mannaia di una sindrome da demenza pugilistica che lo coglierà negli anni duemila. Sarà proprio in questa difficoltà che emergerà ancora una volta il nome di Nino Benvenuti, che, al di là della rivalità sportiva, rappresenterà per Griffith un fedelissimo amico, “anzi, un fratello” come ha dichiarato il pugile italiano, che nel 2010 si è speso in prima persona per aiutarlo facendosi promotore per l’Italia di una raccolta fondi in suo favore.
Una serie di incontri che sono solo una parte della storia di Nino, un grande pugile e grandissimo uomo, pervaso da un senso di amicizia e lealtà non comuni, profondamente legato alla sua terra, sofferente da esule per quell’Isola d’Istria strappatagli per aver deciso di rimanere fieramente italiano, innalzando poi sul tetto del mondo quella bandiera per la quale aveva tanto sofferto e faticato e che finalmente ebbe la possibilità di rappresentare ed onorare, in una vittoria che sapeva di favola e di riscatto.
(di Simone De Rosa)