Vignetta: la risposta al terrorismo degli sciacalli da “like”

Ci risiamo: il terrorismo è tornato a sconvolgere l’Europa e la temibile reazione dei social non si è fatta attendere. L’ormai abituale – e diabetico – carico di vignette e bandierine si è velocemente riversato sulla rete, accompagnato dai titoli entusiastici di blog e giornali che parlano di “mobilitazione solidale” in sostegno della popolazione inglese.

D’altronde, quale occasione più ghiotta di un attentato, per un vignettista dalle dubbie doti artistiche, per racimolare likes e condivisioni? Quale occasione migliore di una strage di civili per ottenere visibilità? Il menu è noto: per cominciare, un’entrée di “Imagine” di John Lennon, a seguire una Union Jack ben cotta con contorno di hashtag e, per dessert, la skyline della capitale inglese che compone la scritta “I love London”. Da bere, un bel bicchiere colmo di sangue ancora caldo et voilà: la cena degli sciacalli è servita.

I nostri complimenti allo chef e alla brigata: bravi tutti. Tuttavia, il pasto risulta ormai indigesto: sarà perché è eccessivamente stucchevole, sarà perché a mangiare sempre le stesse cose alla fine ci si stanca. A maggior ragione se la cena si consuma di fronte a cadaveri ancora caldi di uomini e donne senza colpa alcuna. Eppure non ci vuole un quoziente intellettivo particolarmente alto per capire che matite e pennarelli non ci salveranno da auto e camion in corsa e che le vignette non hanno la minima utilità nella lotta al terrorismo; non serve essere dei pozzi di scienza per accorgersi che gli autori di certi scarabocchi non sono altro che un pugno di tossici, di drogati di like in cerca della loro dose di pollici alzati e cuoricini.

Abbiamo bisogno di un’autentica consapevolezza di ciò che sta accadendo nel cuore dell’Europa, perché dinanzi alla jihad non si combatte né con i gessetti né con le canzoni strappalacrime. La nostra, come l’ha giustamente definita Alberto Negri su IlSole24Ore, è una «generazione in emergenza». Nel variegato mondo islamico, la Russia si è scelta degli interlocutori affidabili come l’Iran e la Siria, vero argine allo jihadismo nel Medio Oriente. L’establishment occidentale ha preferito, al contrario, sposare la retorica dei «ribelli moderati» e consentire ai sunniti più radicali e ai salafiti di stabilirsi in Europa in veri e propri «ghetti», spesso ai margini dei grandi centri urbani e metropolitani.

Sconfiggere il Califfato a Mosul sotto il profilo militare non sarà sufficiente perché abbiamo importato i jihadisti in casa nostra e ignorato i rischi dell’Islam politico, emarginando laici e secolaristi. Dovremmo, senza cadere nella trappola dell’islamofobia, ascoltare le parole dell’Imam Hocine Drouiche intervistato da Tempi: «Sono un imam e ho il dovere di lanciare un allarme: esiste un islam politico che rappresenta un pericolo prima di tutto per noi musulmani. Non possiamo più nasconderci e continuare a dire che il terrorismo non c’entra niente con la nostra religione. Se le società europee apriranno la porta all’estremismo, richiuderla sarà difficilissimo».

(di Camilla Di Paola e Roberto Vivaldelli)